SESSIONE ORDINARIA 2003

(Prima parte)

ATTI

della quarta seduta

Mercoledì 29 gennaio 2003 - ore 10

ADDENDUM I

DISCORSI IN ITALIANO NON PRONUNCIATI


            MALGIERI. (Con riferimento al documento 9666). Sono d’accordo con il collega Pangalos circa la necessità di integrare la Convenzione europea dei diritti dell’uomo nella futura Costituzione europea allo scopo di rafforzare le procedure giuridiche a tutela dei diritti umani in Europa, che, come si sa, sono frequentemente minacciati.

            Inoltre mi sembra opportuno che nel rapporto al nostro esame si sottolinei la necessità di dare un ruolo nel Trattato in via di definizione al Consiglio d’Europa per motivi che sono stati qui già abbondantemente illustrati e che rimandano alla rappresentatività di questo nostro organismo che è il più antico e dunque collaudato d’Europa. Infatti l’Assemblea del Consiglio d’Europa è il solo organismo continentale paneuropeo nel quale tutti i Parlamenti nazionali sono adeguatamente rappresentati.

            Dunque, per non disperdere la rappresentatività effettiva delle nazioni europee è necessario a mio avviso, che l’Assemblea del Consiglio d’Europa sia considerata anche nel Trattato come l’istanza più trasparente ed efficace per attivare un dialogo permanente tra i Parlamenti degli Stati europei, e in questo concordo con il relatore.

            Considerando sostanzialmente positivo il lavoro svolto dal collega Pangalos, mi permetto di dissentire da lui nella parte in cui propone una ridifinizione, che a mio parere è quanto meno singolare, della nozione di cittadinanza che, come sappiamo oggi e per antica tradizione, si fonda sul principio di nazionalità.

            La nuova nozione, secondo il rapporto, dovrebbe fondarsi, invece, sul criterio della residenza. Si tratta, a mio avviso, di una regressione che introduce elementi di incertezza nelle comunità e capovolge un principio collaudato da secoli e legittimato non soltanto da pratiche giuridiche che sarebbe temerario gettare al vento, ma anche dalle culture dei popoli europei che, basando la cittadinanza sulla nazionalità, hanno da sempre inteso testimoniare dell’adesione ad un patrimonio valoriale da parte di chi diventa cittadino e si differenzia pertanto da chi non lo è.

            Nel rapporto è scritto che il nuovo criterio dovrebbe permettere di accentuare l’originalità del processo comunitario nelle relazioni internazionali e di configurare la popolazione europea secondo un modello autonomo proprio dell’ordine giuridico internazionale. Non posso essere d’accordo.

            Riconoscere, infatti, la cittadinanza europea a chi ha soltanto un titolo di residenza è estremamente riduttivo e non aiuta a definire l’essenza stessa dell’Unione europea che non può essere un semplice aggregato burocratico, ma deve piuttosto pensarsi come una comunità civile, politica, culturale dotata di un retaggio storico riconoscibile.

            Questi elementi fondano il diritto di cittadinanza e non è un caso che in molti paesi europei si diviene cittadini soltanto dopo lunghi periodi di residenza che confermino l’integrazione con la comunità ospitante.

            Questo criterio non mi sembra decaduto a fronte dei tempi che viviamo e perciò mi auguro che la disposizione contenuta nel progetto di risoluzione venga cancellata conformemente a quanto chiede con il suo emendamento il collega Provera.