SESSIONE ORDINARIA 2003

(Seconda parte)

ATTI

della quindicesima seduta

Giovedì 3 aprile 2003 - ore 15

DISCORSI PRONUNCIATI IN ITALIANO


            GUBERT. Signor Presidente, onorevoli colleghi, dichiaro di condividere il documento che abbiamo all’esame. E’ giusto anche chiedere che le parti in conflitto arrestino i combattimenti. Se lo facessero non sarebbe una vittoria dell’Iraq ma una vittoria della comunità internazionale, che ha altri mezzi per controllare l’uso improprio di armamenti iracheni prima di ricorrere alla forza.

            Se non lo dicessimo daremmo tacita legittimazione alla guerra, unilateralmente aperta dagli USA e dalla Gran Bretagna. Non si tratta di scegliere tra USA e Iraq, ma fra unilateralismo e rispetto della legalità internazionale.

            Vi sono, a mio avviso, due questioni sulle quali il giudizio dei parlamentari europei dovrebbe convergere senza difficoltà: il rifiuto dell’unilateralismo nel governo degli affari globali ed il rifiuto della guerra preventiva quale mezzo per eliminare ogni probabilità di uso non appropriato di armi da parte di uno Stato.

            Purtroppo, entrambi questi elementi, l’unilateralismo e la guerra preventiva, costituiscono i fondamenti posti ufficialmente dall’Amministrazione Bush alla politica di difesa e di sicurezza degli Stati Uniti d’America.

            Se gli europei accettassero l’unilateralismo degli USA - ossia che gli USA non si sentano, in ultima istanza, obbligati a lealtà all’unica istituzione internazionale avente compiti generali globali, l’ONU, ma possano agire sulla scena internazionale anche con l’impiego di armi e di armi di distruzione di massa seguendo le proprie valutazioni in termini di valori e di interessi, gli europei si disporrebbero a legittimare una struttura globale imperiale, entro la quale l’Europa può svolgere solo ruoli subordinati. Se la democrazia è un valore nelle relazioni interne agli Stati essa lo deve essere anche nelle relazioni tra gli Stati e l’ONU; va semmai riformata in direzione più democratica e conferendo ad essa più mezzi anziché delegittimata con l’unilateralismo o per le sue carenze di mezzi.

            Se gli europei accettassero il principio della guerra preventiva, non quale mezzo proporzionato per far fronte ad una minaccia grave, certa, imminente ma solo per eliminare ogni possibile rischio di pericolo per la sicurezza  - a giudizio di chi si sente minacciato - si disporrebbero ad inaugurare una lunga stagione storica di conflitti armati che, anziché produrre sicurezza, produrrebbero il suo contrario.

            Tanto meno è accettabile il principio secondo il quale la guerra è lo strumento di uno Stato che si ritiene democratico di portare la democrazia in tutti gli Stati nei quali essa è violata. Altri sono i mezzi per far crescere il costume democratico dei popoli.

            La guerra in atto da parte degli USA, della Gran Bretagna e dell’Australia, tre Stati anglosassoni, contro l’Iraq, è stata decisa contro la volontà della maggioranza dei Paesi del Consiglio di sicurezza, contro la proposta degli osservatori dell’ONU circa il disarmo iracheno, contro la grande maggioranza dell’opinione pubblica europea e mondiale.

            La guerra in atto è una guerra preventiva, non essendovi alcuna grave ed immediata minaccia alla sicurezza globale degli USA o della Gran Bretagna o dell’Australia da parte dell’Iraq.

            Essa è, pertanto, priva di legittimità internazionale e di legittimazione morale. I mezzi violenti usati sono del tutto sproporzionati anche rispetto all’eventualità che il regime iracheno disponga di armi che ad esso erano state vietate.

            L’Europa deve ritrovare la capacità di rimanere amica ed alleata degli Stati Uniti d’America, senza rinunciare a dire chiara ed alta la verità alla quale invano hanno richiamato anche le più alte autorità morali e religiose, europee e americane. Agli amici si può e si deve dire ciò che si sente vero e giusto e che sbagliano se quanto fanno lo si considera un errore: solo i sudditi plaudono anche di fronte agli errori. Non siamo sudditi ma amici e vogliamo restare tali se da amici e non da sudditi siamo considerati. (Applausi).

            GUBERT. Signor Presidente, comprendo come l’emendamento n.14 sia diretto a tutelare i confini della Turchia, considerando anche le esperienze passate. Tuttavia, la sua portata generale interessa tutti gli Stati confinanti la Turchia; quindi, potrebbe legittimare l’intervento armato per ragioni umanitarie anche in Paesi confinanti come l’Iran, la Siria o altri. Considero, pertanto, un po’ pericoloso l’emendamento n.14, dalla forma così generale.