SESSIONE ORDINARIA 2005

(Prima parte)

ATTI

della quarta seduta

Mercoledì 26 gennaio 2005 - ore 10

ADDENDUM II

DISCORSI  IN ITALIANO NON PRONUNCIATI


MASI

La pace in Medio Oriente è un’esigenza imprescindibile della comunità internazionale e non solo delle parti che da oltre cinquanta anni in quell’area si confrontano e si scontrano, con enorme sacrificio di vite umane, fornendo un alibi ed alimentando il terrorismo che insanguina il mondo intero.

Con questa consapevolezza, una delegazione parlamentare della Repubblica di San Marino, di cui ho fatto parte, si è recata la settimana scorsa in Palestina, per approfondire la conoscenza di quella realtà ed incoraggiare un dialogo che rappresenta l’unico strumento per conseguire una pace duratura, che non sia solo assenza di guerra, ma anche sviluppo, giustizia, rispetto dei diritti umani e autodeterminazione dei popoli.

Abbiamo incontrato autorità religiose, parlamentari e ministri israeliani e palestinesi, il Presidente della Knesset ed il nuovo Presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Abu Mazen. Abbiamo visto di persona le  condizioni drammatiche in cui vive il popolo palestinese, l’occupazione militare dei territori, i check point, i campi profughi, un’economia distrutta ed il muro – costruito in violazione del diritto internazionale ed al quale anche il nostro paese si è opposto – che non divide solo gli Israeliani dai Palestinesi, ma anche i Palestinesi dai Palestinesi, impedendo spesso loro di raggiungere il lavoro, la scuola, l’ospedale e di muoversi liberamente all’interno dei propri territori.

Dall’altra parte, in Israele, insieme ad un’economia fortemente penalizzata dall’intifada, abbiamo rilevato il senso di paura e la preoccupazione ampiamente diffusi per la mancanza di condizioni di sicurezza in cui ogni persona ha il diritto di vivere. Abbiamo altresì constatato l’avversione di larghi strati dell’opinione pubblica alla decisione del Governo di ritirare l’esercito e di smantellare gli insediamenti nella striscia di Gaza, decisione che abbiamo vivamente apprezzato anche se appare in aperto contrasto con la realizzazione in atto, incomprensibile ed inaccettabile, di nuovi insediamenti di coloni nella West Bank ed anche se, purtroppo, è stata assunta al di fuori di un’intesa con i dirigenti palestinesi. Abbiamo rappresentato alle autorità israeliane, e confermiamo oggi ai colleghi membri di quest’Assemblea Parlamentare, la forte volontà di pace e la piena disponibilità al dialogo ed ai compromessi necessari che abbiamo riscontrato nella nuova leadership palestinese ed in particolare nel Presidente recentemente eletto.

A chi ci ha detto che prima della pace è necessaria la sicurezza e quindi prima di riprendere la trattativa occorre che da parte palestinese cessi qualsiasi atto di violenza, abbiamo risposto che solo la pace nella giustizia può garantire la sicurezza. Se Israele, con la potenza di cui dispone, non è riuscito in quattro anni ad avere ragione delle fazioni palestinesi più estreme, come si può pretendere che in pochi giorni, e senza quella forza militare che lo stesso Israele ha in gran parte distrutto, vi riesca Abu Mazen?

Io credo che, insieme a tutti noi, anche le autorità israeliane debbano prendere atto dell’impegno e della determinazione, dichiarati stupefacenti dallo stesso Shimon Peres, con cui il nuovo Presidente si sta muovendo per indurre ad una tregua ed al disarmo Hamas, la Jiahad e le Brigate Al Aqsa. La situazione appare ancora quanto mai confusa ed incerta, ma è innegabile che l’elezione democratica del nuovo Presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, con l’autorevolezza conferitagli dal risultato elettorale, e la quasi contemporanea costituzione in Israele del nuovo Governo d’Unità Nazionale, aprono nuovi spiragli di pace e rendono possibile la riapertura del confronto.

Se a tale fine risulta determinante l’atteggiamento degli Stati Uniti, con l’enorme forza di persuasione di cui dispongono e che finora hanno scarsamente utilizzato, non dobbiamo dimenticare la pressante richiesta, che abbiamo ascoltato dalle componenti più interessate alla pace, di una maggiore e più efficace presenza delle Istituzioni e dei Paesi europei per sostenere le ragioni di un dialogo, che deve riprendere senza riserve e condizionamenti preliminari ed avere il sopravvento sulle azioni di guerra, sugli attentati terroristici, sulle esecuzioni mirate e sul ricorso alla violenza.

La creazione di uno Stato palestinese, che possa vivere a fianco d’Israele in condizioni di pace, libertà e giustizia, è diventato un passaggio obbligato non solo per risolvere la crisi dell’area, ma anche per togliere motivazioni e forza ad un terrorismo internazionale che non può essere combattuto con la guerra planetaria o con la retorica dell’intransigenza, senza aggredirne le cause. Al momento, pur riconoscendo l’importanza di iniziative non governative come quella di Ginevra del dicembre 2003, la base più concreta per pervenire ad una soluzione negoziale appare il progetto della road map  predisposto da ONU, Unione Europea, Stati Uniti e Russia, che devono responsabilmente farsi parte attiva per rilanciare la proposta che hanno formulato e che finora è rimasta lettera morta.

Un elemento di speranza, che ci consente di guardare al futuro con maggiore ottimismo, lo abbiamo trovato nell’opera di quei religiosi, di quelle personalità israeliane e palestinesi, di quelle organizzazioni, come il Centro Peres per la pace, che operano sul campo, con iniziative concrete a favore non solo del dialogo e della pace, ma anche della riconciliazione e della cooperazione fra israeliani e palestinesi.