SESSIONE ORDINARIA 2005

(Terza parte)

ATTI

della ventesima seduta
Venerdì 24 giugno 2005-ore 10

DISCORSI PRONUNCIATI IN ITALIANO


GUBERT

Onorevole presidente, onorevoli colleghi, è facile concludere che, essendo il diritto di voto elemento essenziale della democrazia, ogni sua limitazione è una limitazione della democrazia da rimuovere. Io stesso ho proposto di dare anche ai minori, in Italia, diritto di voto, ma attraverso coloro che ad essi provvedono e che essi rappresentano.

Vi sono, tuttavia, variabili intervenenti che rendono assai condizionata la conclusione sopra richiamata. La prima, e più importante, riguarda l’appartenenza di un individuo alle collettività interessate alle elezioni di chi dovrà decidere circa il loro bene comune. Tale appartenenza non è semplicemente determinata dal trovarsi, in un dato momento, nel territorio di una comunità, né dal contribuire con il pagamento di imposte e tasse a sostenere i costi di beni e servizi pubblici dei quali si fruisce.

Tale questione, sia pure non del tutto lucidamente facendo riferimento al principio di lealtà, è riconosciuta nella proposta di Risoluzione; laddove per le elezioni nazionali si lega il diritto di voto alla cittadinanza, ossia al riconoscimento dell’appartenenza alla comunità nazionale. E per ottenere la cittadinanza un immigrato deve possedere alcuni requisiti, talora l’essere originari di quella comunità, personalmente o attraverso gli ascendenti, e più normalmente attraverso un lungo periodo di residenza.

Perché il medesimo principio non viene fatto valere per il diritto di voto nelle comunità locali? Se è ragionevole pensare che un immigrato cui è riconosciuta l’appartenenza alla comunità nazionale veda automaticamente riconosciuta la sua appartenenza anche a una delle comunità locali, delle quali quella nazionale si compone, non sembra ragionevole imporre ad una comunità locale di considerare come suo membro un immigrato, anche da poco residente, che la comunità nazionale non considera ancora come suo membro.

Sia la comunità locale a valutare e decidere i suoi criteri d’appartenenza e quindi sul diritto di voto o su altre eventuali forme di partecipazione di chi non appartiene alla comunità nazionale. L’immigrato non cittadino versa tasse e imposte pure allo stato nazionale. Perché due pesi e due misure fra Stato e comunità locali?

Ma vi sono altre variabili intervenenti da considerare nel rapporto appartenenza-diritto di voto. Può decidere sul bene della comunità che si è macchiato di gravi delitti contro la collettività stessa? Troppo poco considerare solo i delitti contro la democrazia. Certo, la pena potrà e forse dovrà essere temporanea, ma ha un senso. Altra variabile, quella dell’età minima per i delitti elettorali attivi e passivi.

Può un minore, che non è ritenuto dalla legge neppure in grado di provvedere completamente a se stesso, decidere del bene di tutta la comunità? Vi è stata e vi è una tendenza a coinvolgere le persone, in età sempre più giovane, nella vita politico-amministrativa. Nel contempo però si allunga il tempo adolescenziale, il tempo nel quale la società non considera adulta una persona. Si allungano i tempi dell’istruzione e si ritardano quelli del lavoro, si ritarda la formazione di una famiglia. In breve, i giovani d’oggi divengono socialmente adulti, più tardi dei loro padri e dei loro nonni. Perché non lasciare a ciascuna comunità di stabilire ragionevoli limiti di età alla quale riconoscere il diritto di concorrere al governo della comunità, sia essa locale, regionale o nazionale.

Esistono tradizioni diverse, che vanno rispettate se non contraddicono diritti fondamentali. Esistono cariche politiche diverse che possono esigere limiti d’età diversi. Non può il Consiglio d’Europa fare il medesimo errore dell’Unione Europea, cercando di trarre da principi generali indirizzi applicativi così dettagliati e uniformi da creare, poi, nell’opinione pubblica una crisi di rigetto.

A nome del gruppo PPE/DC esprimo, pertanto, le perplessità su una proposta di Risoluzione che, partendo certamente da buone intenzioni, qui sottolineo le raccomandazioni per fare votare i residenti all’estero, giunge a conclusioni non accettabili, a vincoli uguali per tutti, a prescindere dalla situazione sociologica e della diverse realtà comunitarie che compongono l’Europa. Grazie.

GUBERT

Signor presidente, ho già spiegato nell’intervento le mie ragioni: è possibile che si dia un limite massimo di diciotto anni per il diritto elettorale attivo? Questa risoluzione dice “al massimo diciotto anni” quindi vuol dire che l’età minima può essere anche di dieci anni. A me sembra una cosa irragionevole.

Se una persona non è in grado di provvedere a se stessa, un minore, come può decidere per i beni della collettività? Credo che si debba lasciare più libertà in materia. Lo stesso vale anche per l’elettorato passivo: esistono cariche, come per esempio quella di senatore, per le quali l’età minima deve essere di quarant’anni. E’ previsto nella costituzione italiana ma dobbiamo toglierlo perché l’Assemblea dice che è antidemocratico. L’età minima per il Capo dello Stato è cinquant’anni: dobbiamo toglierlo perché vogliamo poter avere un diciottenne, un venticinquenne.

Mi sembra una proposta troppo radicale e troppo omogenea che non tiene conto delle particolarità.

GUBERT

Anche qui c’è un emendamento soppressivo e poi ce n’è un secondo che è più adatto. Ci sono realtà così diverse nelle comunità locali che imporre la medesima regola a tutti i comuni d’Europa senza considerare che in alcuni comuni si ha semplicemente la convivenza di persone che si conoscono poco tra loro quindi ha anche senso che anche qualcuno che sia arrivato da poco possa votare, in altri comuni c’è un senso di comunità così forte per cui l’appartenenza e la legittimazione popolare a decidere sui beni della comunità è più forte.

Allora perché dare a tutti la stessa regola? Perché differenziare tra Stato tra comunità locale? Qualcuno ha detto che è perché i comuni non fanno politica estera! Ma mi sembra che rispetto ai diritti la politica estera non sia così importante. E’ meglio evitare queste generalizzazioni.

GUBERT

Capisco che c’è una grande voglia di democrazia, però che un residente, appena arrivato, possa essere già candidato e anche eletto, mi sembra non tenga conto della realtà sociologica che esiste nella nostra realtà europea.

Ci vorrebbe quanto meno una gradualità nel modo in cui si passa dalla semplice residenza alla piena partecipazione alla comunità con diritto elettorale attivo e passivo. Ci sono diverse tradizioni: chi arriva non solo paga ma anche fruisce di quanto gli altri hanno pagato prima.

Non si capisce perché si debba avere questa concezione così monetaria dell’appartenenza ad una comunità: basta pagare per essere membro di una comunità. Siamo veramente alla riduzione materialistica d’ogni senso di legame con la propria comunità. Ora, quest’emendamento cerca di tener conto delle diverse tradizioni, di tener conto dei tempi di residenza e di introdurre forme di partecipazioni graduali prime di arrivare al voto.

GUBERT

Anche qui c’è una tendenza forse eccessiva nel dire che solo in presenza di reati contro la democrazia, come frodi elettorali ecc., si può avere come pena accessoria la privazione del diritto di voto o dell’elettorato attivo o passivo.

Ci sono delitti contro la comunità che sono molto più gravi di quelli elettorali: pensiamo agli omicidi in seno alla comunità, pensiamo alla mafia in seno alla comunità, alla corruzione in seno alla comunità. Perché dobbiamo vietare di dare come pena accessoria la sospensione del diritto di voto e invece darla soltanto per le frodi elettorali?  Mi sembra anche qui una posizione dottrinaria che non tiene della complessità del reale e quindi la proposta che faccio è di sopprimere queste indicazioni.

GUBERT

Credo che il Presidente della Commissione deve riferire se il parere è stato favorevole o contrario, e non fare un intervento motivando i perché e per come. Diventano due interventi in una direzione e uno in un altro. Mi sembra giusto,invece, far rispettare le regole.

GUBERT

Mi scuso con la precedente osservazione dovuta all’ignoranza del regolamento. Questo emendamento è subordinato al precedente e fa riferimento ad alcuni reati per i quali la privazione o la sospensione del diritto di voto ha tanta ragione d’essere più di quella per frode elettorale o per induzione al voto, come è scritto nel rapporto.

Gli omicidi, quelli che hanno attentato al bene pubblico attraverso la corruzione, quelli che hanno imbrogliato la gente falsando le carte o gli atti pubblici, credo che se uno viene condannato per questi reati  debba essere possibile privarlo per un determinato periodo di tempo del diritto di voto o della possibilità di essere eletto. Altrimenti come facciamo a lottare contro la mafia in Sicilia e in altre parti se Voi dite in questa sede che dobbiamo dare loro tutti i diritti di voto?

GUBERT

Si torna sul problema dell’età minima e dei diritti elettorali attivi e passivi. La proposta che qui viene fatta è di stabilire una certa elasticità, ossia che l’età minima possa essere stabilita fra i diciotto e i venticinque anni tenendo anche conto delle diversità delle costituzioni come quella italiana e che per i diritti elettorali passivi, il limite dell’età minima sia tra i venticinque e i quarant’anni, tenendo conto anche dei diversi tipi di mandato politico: il Capo dello Stato non è un deputato o un consigliere comunale.

Credo che il modo così generale nel quale è stata redatta questa raccomandazione cozzi contro le realtà esistenti e la ragionevolezza. Ecco perché dare delle soglie può essere più opportuno.

GUBERT

Il problema ritorna come già sottolineato prima. Certamente l’Assemblea ha migliorato il testo rispetto a quello originario: perché ha detto “decorso un certo lasso di tempo ragionevole dall’insediamento nella comunità”  quindi c’è un miglioramento. Credo che sia opportuno che ci siano anche forme intermedie tra il diritto di voto e la residenza senza diritto di voto, quindi delle forme di consultazione. Questo emendamento tende a valorizzare queste forme intermedie di consultazione degli immigrati quando non hanno diritto di voto.