SESSIONE ORDINARIA 2005

(Quarta parte)

ATTI

della trentesima seduta

 

Giovedì 6 ottobre 2005-ore 10

DISCORSI PRONUNCIATI IN ITALIANO


De ZULUETA

Presidente, ringrazio anch’io il relatore per il suo lavoro. Con questo rapporto la nostra Assemblea continua nel suo lavoro per definire il ruolo del Consiglio d’Europa nella futura architettura europea. E’ un passaggio molto importante per tutti. Questa nostra organizzazione, devo dire, vive con una certa soggezione, e l’abbiamo visto anche oggi, il proprio rapporto con l’Unione Europea.

I rapporti di forza economica ma anche politica, sono talmente squilibrati che preferiamo non soffermarcisi troppo. Oggi però ci troviamo nella necessità di definire con più precisione questi rapporti e questo ci offre un’opportunità. L’Unione Europea che ha vissuto considerando il Consiglio d’Europa come una sorta di corso preparatorio per l’ingresso tra i propri membri, si sta misurando con la prospettiva di frontiere durevoli. E’ una novità: insomma, si misura con i propri limiti. E’ un’opportunità per il Consiglio d’Europa di dimostrare la propria utilità.

Non c’è dubbio che l’Unione Europea abbia tratto grossi vantaggi dal lavoro svolto dal Consiglio d’Europa nella transizione democratica di molti paesi membri. Ma è un debito quasi mai riconosciuto esplicitamente. Chi dice che per esempio che i famosi criteri di Copenaghen sono basati sulla giurisprudenza della Corte Europea?

Nella nostra Raccomandazione ci soffermiamo con soddisfazione sul fatto che il Parlamento Europeo, con una propria risoluzione del novembre 2003, non solo cita esplicitamente i meccanismi del Consiglio d’Europa come modello per la costruzione dei rapporti con i paesi compresi nell’European Neighbourhood Policy, ma si auspica anche una collaborazione concreta con il Consiglio d’Europa. Purtroppo però sono trascorsi due anni nei quali questa cooperazione non si è vista, almeno ai fini di costruire la nuova politica di vicinato dell’Unione.
L’European Neighbourhood Policy è stata istituita, e oggi esistono dettagliati piani d’azione riguardanti un buon numero dei sedici paesi coinvolti. Nessuno di questi piani però impegna le istituzioni del Consiglio d’Europa. Dobbiamo quindi renderci conto che si tratterà di salire su un treno che è già in marcia.

Costato una cosa: mi ha colpito la somiglianza tra questi piani d’azione e le procedure d’accesso all’Unione. Si elencano centinaia d’azioni che i paesi interessati dovrebbero completare per poter usufruire di vantaggi economici. Un rapporto dunque che si presenta in modo piuttosto squilibrato con una forte componente di condizionalità.

Questi paesi però non sono candidati all’adesione: è una differenza fondamentale. Un motivo per cui questo approccio potrebbe rivelarsi solo parzialmente soddisfacente. Ritengo invece che gli strumenti del Consiglio d’Europa offrono potenzialmente un gran vantaggio per la costruzione di uno spazio di stabilità fondata sul riconoscimento dei diritti. I meccanismi del Consiglio d’Europa, a cominciare dal monitoraggio, non sono discriminatori: sono basati su convenzioni divise e sul principio di reciprocità.

In conclusione, signor Presidente e onorevoli Colleghi, per portare a buon fine quella roadmap di cui speriamo che il rapporto Junker ci doterà, bisogna partire con le idee chiare ma anche con una buona dose di realismo, senza però rinunciare all’ambizione. Se i meccanismi del Consiglio d’Europa hanno davvero quel potenziale di empowerement democratico cui ha accennato anche il Parlamento Europeo, dobbiamo pensare già da oggi alla possibilità di estendere questi meccanismi oltre l’Europa, a cominciare dalla sponda sud del Mediterraneo. Grazie.