IT06CR11

AS (2006) CR11

 

Versione provvisoria

SESSIONE ORDINARIA 2006

Seconda parte

ATTI

della undicesima seduta

Martedì 11 Aprile 2006-ore 15

DISCORSI PRONUNCIATI IN ITALIANO


MASI

La pace in Medio Oriente non solo corrisponde al desiderio e all’interesse della maggior parte degli Israeliani e dei Palestinesi, ma è un’esigenza fondamentale imprescindibile di tutti noi della comunità internazionale poiché quel conflitto e le sofferenze che ne conseguono alimentano e forniscono uno degli alibi più forti al terrorismo che insanguina il mondo intero.

Lo strumento per raggiungere una pace duratura che non sia solo assenza di guerra ma anche giustizia, sviluppo, cooperazione e rispetto dei diritti umani, non può essere che quello del dialogo, della politica e della democrazia. Non può essere che quello della trattativa e dell’accordo tra le parti. La pace unilaterale, la pace senza l’intesa con i Palestinesi, soprattutto per quanto riguarda la definizione dei confini, è solo un’illusione, una grande illusione.

Chiudere i rubinetti dei finanziamenti internazionali con il risultato di aggravare le condizioni drammatiche in cui già vive il popolo palestinese, o porre delle precondizioni al dialogo, serve solo ad allontanare ulteriormente qualsiasi prospettiva di pace e ad avvicinare sempre di più i palestinesi attorno al governo che hanno scelto.

Non sono per nulla soddisfatto del risultato delle elezioni in Palestina del gennaio 2006 in quanto il successo di Hamas ha complicato ancora di più una situazione già difficile ed ha vanificato le speranze sorte un anno prima con la nomina di Abu Mazen alla presidenza dell’Autorità Nazionale Palestinese. Ma si è trattato di una scelta legittima del popolo palestinese che nel corso d’elezioni che abbiamo riconosciuto libere e democratiche, ha voluto affidare a Hamas la propria rappresentanza ed il governo dei propri territori. Ne dobbiamo prendere atto anche se non ci piace. Ne deve prendere atto soprattutto un organismo come il Consiglio d’Europa che è il tempio dei diritti dell’uomo e il baluardo della democrazia e dell’autodeterminazione dei popoli.

E’ naturale ed è giusto chiedere a chi ha ampiamente praticato il terrorismo ed ora si è presentato alle elezioni e le ha vinte, di riconoscere lo Stato d’Israele e il suo diritto di vivere entro confini sicuri, di rinunciare alla violenza e deporre le armi, di accettare gli accordi di pace che fino ad ora, tra mille difficoltà sono stati raggiunti. Ma non possiamo condizionare la ripresa del dialogo, il confronto e la trattativa all’accoglimento di queste richieste.

E’ come se interrompessimo i rapporti con Israele perché continua a costruire un muro che la Corte Internazionale di Giustizia e l’Assemblea delle Nazioni Unite hanno condannato, perché continua ad eseguire esecuzioni mirate extragiudiziarie che la comunità internazionale e, prima ancora la nostra coscienza, fermamente disapprovano, perché non ha rispettato diverse risoluzioni approvate dalle Nazioni Unite e perché mentre smantella alcuni insediamenti di colonie dei territori che occupa, ne realizza altri, illegali, in zone più difendibili.

No. Non è possibile da parte della Comunità internazionale non avere quel minimo di realismo politico che riconosce le difficoltà d’entrambe le parti ad accogliere immediatamente le nostre richieste e nonostante ciò, impone di continuare a mediare perché riprendano i negoziati. Con i dictat, le ritorsioni, le imposizioni e la violenza non si costruisce nulla. A chi sostiene che, prima della pace è necessaria la sicurezza, che prima di sedersi attorno ad un tavolo occorre che cessi qualsiasi atto di forza e vi sia un formale riconoscimento reciproco, noi dobbiamo rispondere che solo la pace nella giustizia può garantire la sicurezza.

Certe condizioni irrinunciabili rappresenteranno il punto d’arrivo dei negoziati e non possono costituire le premesse per riprendere il confronto. Dobbiamo in ogni caso essere consapevoli che è fondamentale mantenere aperto un canale di comunicazione e di dialogo senza il quale non sarà possibile compiere alcun significativo passo in avanti.

RIGONI

Presidente, dico subito che la risoluzione presentata dal collega e amico Margelov incontra la mia piena approvazione. Il documento richiama, infatti, a comportamenti responsabili e allo stesso tempo realisticamente praticabili da tutti i protagonisti della questione israelo-palestinese, individuando un preciso e costruttivo ruolo per il Consiglio d’Europa e per la sua Assemblea parlamentare.

Non vi è dubbio alcuno che senza l’adozione di un atteggiamento responsabile da parte delle attuali leadership palestinesi e israeliane, il lento processo di pace avviato rischia di arrestarsi definitivamente. Non sono mancati in questi anni segnali dei rischi che si corrono a tal proposito. La mancata vigilanza delle autorità palestinesi sull’azione delle formazioni politiche estremiste ha portato a una serie di attentati terroristici che hanno non soltanto provocato la reazione israeliana ma alienato non poche simpatie nei confronti della questione palestinese.

Dall’altro lato, la decisione d’Israele di erigere un muro, illegittimo e illegale, cosiddetto difensivo, destinato a separare fisicamente parte dei territori occupati violando il diritto internazionale, non ha contribuito a migliorare la situazione generale. Ciononostante i margini di trattativa e di dialogo esistono ancora. Il memorandum illustrativo che accompagna la bozza di risoluzione evidenzia bene l’atteggiamento pragmatico che il governo guidato da Ismail Haniya ha assunto nel momento del suo insediamento anche grazie alle pressioni del Presidente Abu Mazen.

Ciò che più che conta è che l’autorità palestinese si è astenuta da provocazioni inutili nei confronti di Israele. Non si deve pertanto lasciare sfuggire quest’opportunità che il pragmatismo politico mediorientale offre a tutti i soggetti coinvolti nello scenario: Israele e Paesi arabi ed il Quartetto in primis. Acutamente il memorandum di Margelov ricorda che Hamas per molti versi sta seguendo lo stesso itinerario di evoluzione che OLP e Fatah hanno seguito negli anni Ottanta e Novanta.

D’altro lato occorre considerare le prospettive positive che l’affermazione alle ultime elezioni politiche parlamentari della nuova formazione politica ha determinato in Israele. Certo, occorre vedere quali saranno gli equilibri che scaturiranno dalle trattative per la formazione di una maggioranza di governo ma questo è certamente una ragione di speranza e credo che il Consiglio d’Europa e la sua Assemblea parlamentare devono vedere questo processo con favore.

L’azione dei paesi e dell’entità del Quartetto sarà importante a questo proposito e dovrà essere improntato ad equilibri e fermezza per poter spingere entrambi i contendenti verso l’unico risultato possibile: pieno riconoscimento reciproco, ripudio dell’uso della violenza nelle relazioni reciproche, accoglimento del principio della trattativa e della mediazione nella soluzione dei problemi che inevitabilmente nascono e nasceranno dalla coesistenza.

L’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa può offrire un esempio importante a questo proposito: l’esempio del metodo parlamentare di decisione. Un metodo che passa attraverso l’accettazione dell’altro, nel definitivo superamento della logica amico-nemico che in Europa ha portato nel recente passato immani tragedie; un metodo che fa del confronto e del dialogo la base della convivenza.

Si tratta di un esempio che va indirizzato in particolare alla nascente democrazia palestinese mentre sotto questo punto di vista la democrazia parlamentare israeliana ha ormai solide e sicure radici. Per queste ragioni valuto in modo estremamente positivo le proposte del relatore Margelov, di progredire nella strada intrapresa rendendo più intensa la partecipazione dei membri del Parlamento palestinese ai nostri lavori, fino alla realizzazione di vere e proprie forme di cooperazione istituzionale. Allo stesso modo, la realizzazione di un forum tripartito tra membri del Parlamento israeliano e palestinese e membri dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, che può offrire ulteriori occasioni di quel dialogo reciproco, di quel reciproco riconoscimento che sono i punti di forza di tutte le assemblee democratiche.