AS (2006) CR22

 

Versione provvisoria

SESSIONE ORDINARIA 2006

_________________________

Terza parte

ATTI

della ventiduesima seduta

Giovedì 29 giugno 2006-ore 15

DISCORSI PRONUNCIATI IN ITALIANO

GUBERT

Onorevole Presidente, onorevoli Colleghi, con opportuna decisione, la nostra Assemblea si occupa delle conseguenze del referendum tenutosi in Montenegro il 21 maggio scorso. Ho rappresentato, come uno degli osservatori, l’Assemblea e mi hanno colpito sia l’atteggiamento democratico dimostrato dalle forze politiche e dalla popolazione, sia il particolare fondamento della decisione di indipendenza. E’ la dimostrazione che anche la configurazione degli Stati presenti in Europa può essere cambiata senza conflitti violenti se la comunità internazionale accompagna i processi di decisione.

La decisione d’indipendenza del Montenegro non ha fondamento né etnico né religioso né di lingua: il fondamento è solo la volontà di una popolazione che vive su un territorio, di organizzare un proprio stato indipendente. L’unica differenza tra chi si definisce montenegrino, e chi si definisce serbo in Montenegro, è la volontà del primo, d’essere indipendente e del secondo, di rimanere unito alla Serbia.

Il primo si richiama al breve periodo storico nel quale il Montenegro è stato indipendente, il secondo alla comunanza d’interessi e d’identità etnica, religiosa e linguistica con la Serbia. Non certo per la volontà dell’Unione Europea né nostra è stato raggiunto l’obiettivo dell’indipendenza. Questi anzi continuano ad essere contrari al diritto di autodeterminazione dei popoli e alla formazione di nuovi Stati. E’ stata la volontà dei montenegrini ad imporsi alla Serbia, all’Unione Europea e al Consiglio d’Europa che hanno accettato di riconoscere un diritto di secessione, sia pure, l’Unione Europea in particolare, frapponendo ostacoli tra quali è richiamato, nell’ipotesi che la maggioranza dei votanti di almeno 55% desideri l’indipendenza, il dare ragione alla maggioranza che non la vuole.

Vi sono certamente ragioni di legittimità della secessione del Montenegro che in altri casi non ci sono. Ma vi è da chiedersi se, laddove intere popolazioni di una regione con una propria specifica identità etnica o religiosa o di lingua, sono costrette a convivere in uno Stato nel quale non vedono realizzati i loro obiettivi politici, e desiderino diventare uno Stato indipendente, non vi sia una legittimazione più profonda di quella legale alla secessione presente per il Montenegro, riconoscendo il diritto dell’autodeterminazione.

Si comprende come per il fatto il Consiglio d’Europa e l’Unione Europea siano organizzazioni degli attuali Stati e si tende a considerare sacra e intangibile l’attuale configurazione degli Stati. Ma se veramente noi in questa Assemblea siamo per i diritti dell’uomo, non possiamo esserlo solo se non implicano il diritto dell’autodeterminazione dei popoli. Il darsi una ragione politica che corrisponde ai propri obiettivi e alla propria identità è un diritto che quasi tutte le nazioni europee hanno affermato nella storia, anche con l’uso della violenza e della guerra.

Perché non riconoscerlo come diritto esercitabile senza l’uso della violenza, stabilendone le condizioni? Perché essere ostili a nuovi Stati? Abbiamo deciso che la storia si è conclusa? Diciamo che è l’ora di costruire l’Unione Europea, non di moltiplicare gli Stati. Ma non dovremmo rispettare i diritti d’ogni popolo ad avere un proprio Stato? Diciamo che non è ragionevole avere nuovi Stati piccoli, ma vi sono piccoli Stati che funzionano bene. Poi, se l’indipendenza costa, il costo è pur sempre del popolo che l’ha voluta. Le conseguenze del referendum, Signora Presidente, sul Montenegro, riguardano anche gli orientamenti del Consiglio d’Europa sul diritto dell’autodeterminazione. Grazie.