IT09CR07       AS (2009) CR 07

Versione provvisoria

SESSIONE ORDINARIA 2009

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(Prima parte)

ATTI

della settima seduta

Giovedì 29 Gennaio 2009, ore 10.00

DISCORSI PRONUNCIATI IN ITALIANO


VOLONTE’ ( Doc. 11807)

Presidente, onorevoli colleghi, voglio ringraziare il relatore e anche il mio presidente di gruppo l’onorevole van de Brande per l’opportunità che mi dà. La bellezza di questo documento è data dal fatto che si può interpretare in molti modi essendo un punto di mediazione altissimo fatto dalla Commissione e dal relatore. La specificità del pensiero dei popolari è tutto nella libertà, lo diceva Luigi Sturzo ottant’anni fa. Bisogna tornare a dare la libertà al popolo di decidere, di auto goverernarsi, lo diceva lord Francis Action che ricordava come il più grande ostacolo della libertà fosse la povertà e l’ignoranza. Lo diceva anche uno dei padri fondatori del Consiglio d’Europa, che voglio ricordare in questo sessantesimo anniversario, Churchill il diciannove settembre del 1946 :“ Occorre un rimedio che come per miracolo trasformerebbe la situazione e nello spazio di qualche anno renderebbe tutta l’Europa libera e felice come lo è adesso la Svizzera“. Siamo ancora in queste stesse condizioni.

All’origine del pensiero dei popolari c’è l’idea che solo la persona agisce, soffre e sceglie mentre lo stato è fondamentale, importante, ma è lo strumento che viene dopo. Agire con gli altri e per gli altri è anche il cuore dell’ultima enciclica di Giovanni Paolo II, un’enciclica lungimirante anche se la guardiamo rispetto agli effetti di una certa interpretazione del mercato che stiamo subendo. Un personalismo il nostro che diventa prassi sociale per contribuire a rendre più umano il mondo in cui viviamo soprattutto in questo momento di crisi come ai tempi di De Gaspari, Schuman, Monnet e Adenauer. Dobbiamo opporci al neo paternalismo di stato, dobbiamo valorizzare quelle attività poste in essere da persone libere e responsabili che danno vita ad organizzazioni sociali per rispondere alle domande provenienti dalla società civile.

Riteniamo che ci sia bisogno di più sussidarietà proprio in questo momento di crisi economica. Questa è la sostanza della nuova giustizia e responsabilità globale proposta dodici mesi fa da Benedetto XVI tra gli applausi generali dell’Assemblea dell’ONU. A questa età della responsabilità stanno guardando con nuovo impulso anche il presidente Obama, i leader del G20, i capi di stato di paesi qui rappresentati, il presidente della Banca mondiale Zoellek che ha scritto un articolo interessante su questo tema l’altro giorno sul Financial Time.

L’esperienza storica di molti popoli dimostra che dobbiamo uscire dall’illusione di sole politiche redistibutive, rimane nel Welfare State non va bene, bisogna evolversi in una Welfare Society. E’ urgente e necessaria una nuova consapevolezza che il motore dello sviluppo è un habitat civile cioè un luogo di capitale sociale adeguato ad accogliere, è stato ricordato in altri termini da chi mi ha preceduto, l’innesto del capitale umano cioè di quella conoscenza che diviene sviluppo dei talenti di ciascuno. Noi proponiamo una ecomonia sociale di mercato ancora più attuale nella quale lo stato fa rispettare le regole del gioco, promuove la formazione di associazioni, interviene conformemente al mercato in maniera sussidaria e temporanea per rispondere alla domanda di assistenza proveniente dalla società civile quando gli organismi che sono più prossimi al bisogno abbiano fallito o non siano in grado di porgere delle condizioni di aiuto.

Non è stato il mercato, non è stata la finanza e non è stata la globalizzazione a produrre questa crisi. E’ importante identificare che la causa della crisi attuale è il cattivo uso degli strumenti di mercato da parte di governi che hanno camuffato e non controllato una crescita del Pil egoistica, artificiale, non sostenibile. A volte c’è stato troppo stato, a volte è stato pocco efficiente. La crisi è stata causata da politiche governative inadeguate, da un uso cattivo e non trasparente degli strumenti finanziari e dalla mancanza di controlli. Una crisi cominciata con il caso Parmalat, la crisi alimentare speculativa di qualche mese fa, le banche, i mutui e le carte di credito. Dobbiamo ripartire dalla libertà e dalla responsabilità di ciascuno, da quella vita di verità di cui scriveva Vaclav Havel nella Charta 77 qualche decennio fa.

Mi sembra importante approvare questo straordinario documento perché questa etica della responsabilità qui è ben rappresentata, qui si incoraggiano i governi ad essere protagonisti di una vita economica e di cercare soluzioni durature sapendo che per governare la globalizzazione occorre una forte solidarietà e un forte codice etico comune. Si parla della trasparenza, della disoccupazione, del fallimento delle istituzioni di controllo finanziario ma anche dell’etica e dei principi morali che fondano e fonderanno le nostre future democrazie. Grazie.

SANTINI ( Doc. 11807)

Presidente, ormai abbiamo capito bene quali sono gli effetti diretti di questa crisi economica, l’ha detto il nostro ottimo relatore Sasi, l’hanno ribadito anche altri interlocutori che sono intervenuti prima di me. Si possono riassumere nel calo del prodotto interno lordo, nel crollo delle produzioni e degli investimenti, nel blocco dei mercati e nell’aumento della disoccupazione.

Questi gli effetti diretti, direi visibili, ma ve ne sono molti altri meno evidenti che hanno ripercussioni però altrettanto pesanti sulla vita della gente, soprattutto sulle fasce più deboli che sono gli anziani con dei vitalizi molto bassi, i giovani che non riescono a trovare il loro primo lavoro, le piccole e medie imprese che vedono bloccata ogni prospettiva di sviluppo dall’aumento dei costi delle materie prime ma anche degli oneri sociali e previdenziali.

Non basta l’iniziativa delle banche centrali. Quello di abbassare i tassi è un intervento direi di carattere quasi umanitario più che economico, ma se non c’è fiducia nel futuro non c’è nemmeno voglia di impegnarsi in un’avventura di tipo finanziario. Ma c’è un effetto negativo che non è stato finora ricordato e che mi permetto di sottolineare a questa Assemblea. Un effetto che parte, certo, da un elemento di carattere economico, quello che abbiamo ricordato finora, ma si traduce in pesantissime ripercussioni di carattere politico e sociale: ed è l’emergenza immigrazione. La crisi economica ha ridotto o annullato in certi casi la capacità di accoglienza di molti Paesi europei. Meno accoglienza significa meno lavoro, meno fondi per l’assistenza e soprattutto, purtroppo, più casi di illegalità, di delinquenza. E’ il caso dell’Italia, della Spagna, di molti altri paesi direttamente colpiti dal fenomeno dell’immigrazione, soprattutto quella clandestina.

In Italia ogni giorno sbarcano tra i trecento e i seicento nuovi clandestini lungo le nostre coste. Vengono accolti nei centri di Lampedusa, in Sicilia, in Puglia. Questo comporta un onere pesantissimo di carattere anche economico oltre che d’impegno sociale per il governo italiano ma anche e soprattutto per la popolazione delle zone colpite da questo fenomeno.

Poi c’è l’immigrazione dal nord-est che è diventata incrontrollabile dopo l’ingresso nell’Unione Europea degli ex-Paesi PECO, in particolare Romania e Bulgaria. Vengono da questi paesi liberamente, circolano in Europa persone che hanno bisogno di lavoro, di casa, di assistenza e con la crisi economica, anche per i cittadini comunitari la situazione è diventata davvero difficile. Quindi è inevitabile che si creino zone di degrado sconosciute anche alle autorità governative e di polizia. Mi spiace che una persona di grande reponsabilità come il Commissario per i diritti umani Thomas Hammarberg sia venuto in Italia nei giorni scorsi e si sia affidato a delle guide forse non troppo serene che lo hanno condotto a visitare solo il peggio di questo problema, le nicchie di inevitabile degrado come ho detto prima.

Sarebbe stato interessante e utile forse per il Signor Hammarberg prendere atto anche del molto che sta facendo l’Italia per accogliere questi fratelli che vengono dal Nord Africa e da altre zone. I centri di accoglienza ormai traboccano, sono insufficienti per accogliere tutti eppure non si manda mai via nessuno e non si rifiuta mai l’aiuto a nessuno.

L’Italia ha fatto tutto e più di tutto quello che doveva fare. E ci spiace appunto che il giudizio non sia stato positivo da parte del Signor Hammarberg al quale ci rivolgiamo, mi rivolgo per un aiuto, per fare capire soprattutto che il problema non è un problema della Spagna, dell’Italia, del Portogallo, insomma di quei paesi che sono dei porti di arrivo, ma è un problema anche vostro, cari Colleghi, di tutti i vostri paesi. Ricordatevi che se salta il sistema di accoglienza e di controllo in Italia e in Spagna, questi immigrati clandestini o regolari che siano, ve li trovate direttamente a casa vostra.

E allora visto che Churchill è stato il più gettonato tra le citazioni di questa mattina, chiudo anch’io con una sua citazione di grande saggezza :” Se c’è un problema, diceva Churchill, non lo si risolve congelandolo.” Io mi permetto di aggiungere “nemmeno scaricandolo sugli altri”.

GALATI (Doc. 11807)

Presidente, colleghi, “La paura e la speranza” non è soltanto l’analisi anticipata sulla crisi di un sistema finanziario globalizzato messa a frutto in un libro già un anno fa dal nostro Ministro dell’economia italiana Tremonti, ma credo sia in questo momento storico un sentimento che taglia trasversalmente la società globale, dall’America all’Asia.

Il recente bollettino della BCE parla di recessione grave e sincronizzata che lungi dall’essere definita, diventa una conseguenza negativa soprattutto per le generazioni future. Il rallentamento dell’economia nell’area dell’Euro, connesso agli effetti delle turbolenze finanziarie certo frenerà la domanda, lasciandola debole per un certo periodo con la conseguente contrazione dei consumi. Il monito dell’Autorità della BCE ribadito ieri al World Economic Forum dal Presidente Trichet, è impergnato su delle politiche di bilancio caute, su efficaci misure anticrisi. Però certamente uno tsunami finanziario c’è stato e ancora c’è la possibilità di qualche scossa di assestamento.

Ma sul tema del consumo e del rallentamento della domanda interna internazionale, le economie europee sono probabilmente in grado di reggere meglio questo contraccolpo della crisi grazie all’Euro che si è dimostrato uno scudo efficace, tanto che vediamo che anche paesi che sono rimasti fuori dall’Euro pensano di ricongiungersi all’unione monetaria europea.

Il governo del mio paese, lungi dal sottovalutare la crisi, è intervenuto tempestivamente innanzitutto assicurando garanzie ai depositi dei risparmiatori, una misura che quindi è tesa ad evitare una crisi di panico, intervenendo poi d’intesa con la BCE al finanziamento e alla ricapitalizzazione delle banche che ne avessero necessità. Si è altresì varata una manovra anticrisi attraverso un decreto che vale cinque miliardi e che contiene delle misure che vanno a sostegno dei nuclei a basso reddito, dei pensionati e con particolare attenzione alle famiglie. In sostanza, dunque, i vari governi europei devono cercare di gestire la crisi senza indebitarsi ma studiando dei provvedimenti per far ripartire l’economia e la domanda.

La strategia di un piano anticrisi si deve sviluppare anche nel trovare risorse per finanziare gli ammortizzatori sociali e prevedere soprattutto attraverso una concertazione europea un piano di aiuti economici innanzitutto in un settore fondamentale come quello dell’automobile, comparto che è importante in termini di occupazione in tutt’Europa. Ma a mio avviso, lo slancio all’economia lo si dà anche attraverso l’ammodernamento di un paese, investendo nel sistema infrastrutturale come ha saggiamente già predisposto all’inizio del suo mandato il Presidente americano Obama nel suo piano anticrisi, e garantendo quella che è l’altra grande questione: il sacrosanto diritto all’alloggio per tutti, predisponendo un piano casa che crei sviluppo e che dia la certezza di un’abitazione soprattutto ai ceti più indigenti.

La competitività di un paese la si vede attraverso una dotazione di infrastrutture adeguate per attrarre ancora investimenti esteri e di un sistema di trasporti che riduca il trasferimento di mezzi e persone. Occorre dunque che la politica si riappropri della propria autorevolezza, della capacità di tracciare degli obiettivi e delle regole su cui l’economia si possa muovere, certo, in piena libertà, ma col grande obiettivo fondamentale che scaturisce da questa crisi, e che è quello di una maggiore e più efficace trasparenza dei mercati finanziari. C’è dunque al fondo di un nostro ragionamento un tale obiettivo, quello di rivedere nel sistema finanziario una più marcata e insopprimibile etica.