IT09CR30       AS (2009) CR 30

Versione provvisoria

SESSIONE ORDINARIA 2009

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(Quarta parte)

ATTI

della trentesima seduta

Martedì 29 Settembre 2009, ore 15.00

DISCORSI PRONUNCIATI IN ITALIANO


GIARETTA (Doc. 12002)

Il recente vertice del G8 dell’Aquila e il summit sul cambiamento climatico organizzato dall’ONU hanno registrato una importante convergenza di principio. Per la prima volta, i due maggiori paesi emettitori di gas serra che da soli producono il 50% delle emissioni, Stati Uniti e Cina, insieme ai maggiori Paesi in via di sviluppo, si sono aggiunti all’Europa nel riconoscere la realtà di una gravissima alterazione del clima dovuta alle attività antropiche, e l’urgenza di azioni positive.

Mr. Pachauri ha avuto un ruolo fondamentale nell’aprire gli occhi al mondo su questo aspetto e di questo tutti noi lo ringraziamo. Certo, passare dalle parole ai fatti non è semplice: i forti squilibri nello sviluppo rendono più complessa la ripartizione degli oneri, i paesi devono sostenere costi immediati di riconversioni che avranno effetti solo nel futuro.

Tuttavia, questi elementi non sono argomenti sufficienti a giustificare ulteriori ritardi. Le conseguenze certe e ravvicinate sul clima avrebbero costi umani e costi economici ben superiori a quelli necessari per finanziare le politiche di mitigazione. Cibo e acqua diventerebbero risorse ancora più scarse, in particolare per i paesi più poveri. Le conseguenze sarebbero comunque globali: un paese può conquistare l’autosufficienza energetica ma non può comprare il clima.

Avremo perciò moltiplicazione di siccità e di tempeste, abbassamento dei rendimenti agricoli, danni alle infrastrutture, aumento di malattie, danneggiamento delle zone costiere. Insomma, limitazioni fortissime dei diritti umani per una larga parte della popolazione mondiale e della produttività di crescita del sistema economico.

Non agire costerebbe molto di più che agire. Ci sono tre pilastri su cui fondare le azioni necessarie: una volontà politica più tenace sia all’interno dei singoli paesi, sia nel costruire necessari accordi globali, un pieno sfruttamento delle potenzialità di nuove tecnologie, flussi finanziari adeguati.

Ciò che è certo è che le potenzialità ci sono: gli obiettivi sono raggiungibili se la maggior parte delle economie sviluppate adottano azioni virtuose in modo congiunto e continuo sulla base di tecnologie già disponibili o tecnologie disponibili in breve tempo con un’accelerazione degli sforzi di ricerca, aiutando tecnologicamente e finanziariamente i paesi in via di sviluppo a non ripetere gli stessi errori.

La relazione di Mr. Prescott, che ringrazio per la passione con cui ce l’ha presentata, indicano le azioni che sono necessarie. Tutto ciò costa: fare queste azioni certamente costa. Ma tuttavia sono costi che possono essere sostenuti, e non solo perché gli investimenti nel ciclo dell’innovazione ambientale e dell’economia verde si sono dimostrati tra i più profittevoli.

Gli investimenti nel ciclo dell’energia verde sono aumentati negli ultimi cinque anni di 1,3 miliardi di dollari fino a 32 miliardi. Ma anche il complesso di finanziamenti pubblici che dovrebbero essere indirizzati all’azione di politiche adeguate non sono incompatibili con le potenzialità finanziarie disponibili. Ce l’ha ricordato il Professor Pachauri: col 3% del PIL mondiale al 2030 è possibile fare politiche di mitigazione. L’accettazione della proposta di Cina e India, di destinare l’1% del PIL dei paesi più ricchi agli aiuti verdi costerebbe molto meno di quanto si è speso nei soli Stati Uniti per il salvataggio delle banche.

Termino, Signor Presidente: vi sono perciò le politiche, le risorse politiche, tecnologiche e finanziarie per affrontare questa sfida. La risoluzione che ci viene proposta è il pieno consenso del Gruppo dell’ALD. Ogni attore deve fare la propria parte e ci auguriamo che Copenaghen possa costituire una tappa fondamentale per la storia dell’umanità. Come ha ricordato il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, un fallimento di Copenaghen sarebbe moralmente ingiustificabile, economicamente miope, politicamente avventato. Dobbiamo evitare che questo accada.

SANTINI ( Doc. 12002)

La parola più diffusa in questo rapporto che apprezzo molto, è preoccupazione. Siamo tutti preoccupati. Nella prima riga si dice “ il Consiglio d’Europa è preoccupato” , nella seconda pagina si aggiunge che “l’Assemblea è preoccupata” e ancora più in fondo”l’Assemblea è profondamente preoccupata”.

Siamo tutti preoccupati. Tutto il mondo è preoccupato, ma non da oggi, è preoccupato per le disastrose prospettive e le conseguenze che i cambiamenti climatici stanno provocando e potranno causare, ancora di più e in misura più pesante, in futuro in tutto il mondo. È preoccupata in modo particolare l’Europa che con la sua immagine di culla della civiltà sa di dover dare in questo caso un esempio concreto di ravvedimento. Sì perché questa preoccupazione esiste da molti anni, esiste da sempre. Se mi consentite un piccolo gioco di parole, che non so come sarà tradotto dai nostri bravissimi interpreti, ciò che più preoccupa è la preoccupazione come risposta, come alibi.

Diciamo di essere preoccupati e quindi ci sentiamo a posto con la coscienza. Però tutto finisce qui. Da anni è così, nessun passo avanti concreto. Anche l’Unione europea con la sua formuletta magica 20-20-20 ha consegnato agli altri un compitino da eseguire: il 20% inmeno di emissioni di gas serra entro il 2020. sembrava una sfida estrema e invece è già superata. Il rapporto in discussione oggi parla di traguardi ben più ambiziosi: ridurre i gas serra dal 50% al 85% entro il 2050.

Il Consiglio d’Europa consegnerà questo mandato a coloro che daranno vita alla Conferenza delle Nazioni Unite che si terrà in dicembre a Copenahgen. La speranza è che la risposta non sia quella data al protocollo di Kyoto e all’ultima convenzione delle Nazioni Unite. A fronte delle speranza di riduzione del 20% ci si è fermati ad un ben misero 5%. Un passo avanti è almeno annunciato in questa relazione sul piano dialettico e si può considerare la ferma raccomandazione che viene rivolta ai Paesi più sviluppati affinché diano il buon esempio, finalemente, dimostrando di essere capaci di rinunciare in misura consistente alla schiavitù dal petrolio e dal carbon fossile e a credere un po’ di più, al di là della propaganda, nel ricorso alle energie alternative e rinnovabili.

Viene chiesto un gesto esemplare ai Paesi più sviluppati perché quelli in ritaro di sviluppo non possono fare altro che subire e sperare: subire gli effetti disastrosi delle emissioni e sperare che chi le produce si imponga davvero di ridurle. Non è solo un problema ecologico ma anche politico e giuridico. Vivere in un ambiente sano e immune da inquinamento è un diritto che rientra tra quelli tutelati dalla Convezione dei diritti dell’uomo. Ne parleremo proprio in quest’aula domani, in un rapporto che approfondisce questo diritto come prioritario ed irrinunciabile e lo pone accanto ai principi fondamentali del diritto internazionale.

Non essere avvelenati da emissioni di gas, insomma, non deve essere considerata una gentile concessione di chi è chiamato a chiudere le ciminiere ma costituisce un diritto fondamentale che appartiene a tutti gli esseri umani, indipendentemente dalla razza, dall’età, dal credo religioso e dalla latitudine alla quale vivono. Insomma è una sfida, lo dice il titolo di questo rapporto, una sfida che nessuno esonera. Nessuno deve chiamarsi fuori e le sfide bisogna affrontarle per vincerle e quando si è in tanti e si è convinti magari, forse resta una pia utopia, si possono anche vincerle.

VOLONTE’ ( Doc. 11989)

L’educazione culturale è uno straordinario motore di sviluppo della personalità, produce mutuo rispetto, comprensione reciproca, valore delle differenze e atteggiamenti di tolleranza, capacità di lavoro in comune. Tutto ciò c’è nella premessa di questo rapporto. La cultura delle persone è fattore di sviluppo della creatività, abilità, rischio e prudenza, innovazione. Perciò questo rapporto pone in evidenza come l’educazione culturale e artistica siano parti essenziali delle educazione formale di ogni scuola e ad ogni livello.

Pensiamo solo di sfuggita all’educazione e all’arrichimento che abbiamo ricevuto nella nostra vita nel vedere, nel gustare mostre, dipinti, sculture, opere d’arte, musiche, film, chiese. Il bello, senza dubbio, avvicina alla verità di ciascuno di noi, avvicina anche alla verità dei rapporti, alla capacità d’integrarsi, di creare effetti positivi sulla società. Colpisce molto positivamente il punto tre del rapporto, dove si sottolinea la straordinaria forza del capitale umano, la promozione della creatività, la capacità d’innovare che sono caratteristiche importantissime per ogni singola persona ma sono anche sorgente di ricchezza e di sviluppo di ogni società.

L’educazione culturale è anche un potente aiuto a creare sinergie tra diverse culture, tradizioni, storie personali e di gruppi e minoranze presenti nei nostri paesi. In ciò la cultura può creare quel dialogo costruttivo perché valorizza il positivo che esiste in ognuno di noi e nelle diverse comunità. Propongo di ampliare, se possibile, il punto dieci per rendere più comprensibile e più chiaramente l’idea che non solo la garanzia delle diversità culturali deve essere rispettata, ma anche che vi è l’ impegno per valorizzare la storia e la cultura delle minoranze che sappiamo presenti da secoli nelle nostre nazioni e che hanno contribuito alla storia dei nostri popoli e dei nostri stati.

Dare valore alle diversità di queste storiche comunità minoritarie potrà portare nuova linfa alle socità e alle nazioni. E’ ben chiaro che emerge con forza, nell’insieme degli inviti della nostra Assemblea ai Ministri dell’educazione del Consiglio d’Europa, che investire sul capitale umano. Promuovere la cultura per e tra le persone è un fattore importante, forse il più importante fattore di sviluppo di sviluppo e ricchezza delle nazioni in quest’epoca di grandi cambiamenti, di sfide decisive e improrogabili per noi e per l’intero pianeta.

Tuttavia, in conclusione, dopo aver ricordato l’importanza di questo rapporto, voglio ricordare che sarebbe importante aggiungere il significato della cultura religiosa, che ha storicamente rappresentato in tantissimi campi della cultura, la storia delle nostre nazioni. Nel rispetto della divisione della sfera dello stato e di quella della Chiesa anche quest’aspetto della cultura può rendere più ricche le nostre giovani generzioni e più forte il Consiglio d’Europa.

VOLONTE’ ( Doc. 11989 emendamento II )

L’emendamento mi sembra chiaro: inserire oltre a questi importanti centri di ricerca anche questi due istituti che certamente possono dare il loro contributo per lo sviluppo dei risultati del rapporto. Grazie.

VOLONTE’ ( Doc. 11989 emendamento III )

Presidente, l’ho detto nel mio intervento. Mi sembra che promuovere anche tra gli altri aspetti la cultura religiosa possa essere un elemento, una chiave di lettura, un punto di vista non indifferente per comprendere la qualità, la commozione, l’emozione e la bellezza di un brano musicale come di una cattedrale. Grazie.