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AS (2010) CR 06
Versione provvisoria

SESSIONE ORDINARIA 2010

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(Prima parte)

ATTI

della sesta seduta

Mercoledì 27 gennaio 2010, ore 15.00

DISCORSI IN ITALIANO NON PRONUNCIATI

 

MOGHERINI REBERSANI ( Doc. 12102)

Con questo rapporto, ci occupiamo del “ problema che non esiste” : la libertà d’informazione. Non esiste perché non si vede, oscurato dalla politica, che spesso ne è la prima beneficiaria, e dallo stesso mondo della comunicazione, che pure ne è la prima vittima. Non si vede perché formalmente non c’è: la libertà di stampa è garantita, nessuno osa negarla, ed è più facile che le leggi siano cambiate, piuttosto che violate, per limitarla o violarla. Eppure è il problema che, pur non esistendo, vizia il normale sviluppo delle nostre democrazie, inquina la dialettica politica, limita il diritto dei cittadini ad una informazione completa ed imparziale, svilisce la professionalità di tanti giornalisti, ed arriva a minacciare l’integrità fisica di alcuni di loro.

L’Italia è il paese, unico dell’Unione Europea, nel quale in quaranta anni sono stati uccisi undici giornalisti: nove per mafia e due per terrorismo. L’Italia è il paese in cui oltre duecento giornalisti, negli ultimi due anni, hanno ricevuto minacce e intimidazioni. Il Rapporto 2009 dell’Osservatorio della Federazione Nazionale Stampa Italiane elenca cinquantadue episodi diretti di minacce o intimidazioni: quarantatre individuali, mentre nove riguardano intere redazioni. Ed ancora: sedici aggressioni fisiche, tre minacce in sede processuale, otto danneggiamenti all’abitazione o all’automobile, diciassette minacce telefoniche o con lettere anonime, quindici perquisizioni giudiziarie particolarmente invasive, eseguite nelle abitazioni e nelle redazioni di cronisti che avevano appena pubblicato notizie di grande rilievo per l’opinione pubblica.

A queste centinaia di episodi, vanno aggiunti tutti quei giornalisti che non hanno il coraggio, la forza, la possibilità di denunciare la violenza subita, pur avendola subita. E tutti quei casi di “autocensura preventiva” che porta un giornalista a tacere una notizia, proprio come un commerciante paga il pizzo: per paura, per evitare ritorsioni, per non perdere il lavoro. E ancora i giornalisti intimiditi con azioni giudiziarie abnormi, con richieste di risarcimento esorbitanti, come da ultimo ci ricordiamo i casi delle citazioni miliardarie del Presidente del Consiglio contro La Repubblica e L’Unità.

Parlare dei giornalisti censurati con violenza, zittiti con pressioni indebite e con l’abuso di azioni giudiziarie, significa parlare della più grande contraddizione del giornalismo, almeno in Italia: formalmente libero, in realtà in regime di libertà vigilata e spesso limitata. Significa parlare della paura, del senso di frustrazione e di impotenza di molti giornalisti costretti a scegliere se diventare degli eroi o piegarsi all’autocensura. Significa illuminare il cono d’ombra che rende invisibile quel “ clima di intimidazione non compatibile con gli standard europei” che il rapporto denuncia. Significa parlare della “raccolta differenziata” delle notizie che molti, troppi editori impongono arbitrariamente ai loro giornali, laddove, come indica giustamente il rapporto, il principale obiettivo dell’editore smette di essere “la reputazione ed il buono sviluppo nel lungo periodo” della propria testata, e diventa “il vantaggio politico o i profitti finanziari”.

Vi lascio immaginare come questo fenomeno diventi prorompente, invasivo ed incontenibile in un paese che conosce una concentrazione della proprietà dei mezzi di informazione, ed un conflitto di interessi, senz apari nel mondo occidentale, o forse, ormai, possiamo dire semplicemente nel mondo. Il fenomeno di “fusione del potere politico e mediatico nelle mani di particolari individui o forze politiche mette a rischio il pluralismo e l’indipendenza dei media”, dice il rapporto, citando, non a caso, l’Itallia ad esempio emblematico di questa distorsione della vita democratica.

E’ difficile spiegare come e perché un fenomeno così grave ed esteso sia sfuggito finora alla percezione comune e, di conseguenza, non abbia ottenuto la dovuta attenzione. O forse, al contrario, spiegarlo è molto semplice: è la natura stessa del problema ad impedire che questo emerga in modo esplicito, che riesca a risalire la corrente fino ad imporsi all’attenzione dell’opinione pubblica. Se questo avvenisse, sarebbe forse segno che il problema è già, almeno in buona parte, risolto.

Bisogna allora rompere il tabù, e riconoscere innanzitutto che questo “problema che non esiste”, non solo esiste, ma può essere risolto con misure molto concrete: una legge rigorosa sul conflitto d’interessi, un sistema di protezione giuridica e di solidarietà civile per i giornalisti minacciati o colpiti nell’esercizio della loro funzione pubblica, di garanzia del diritto all’informazione, un equo e giusto accesso ai canali di comunicazione per tutte le parti politiche, la protezione del sistema televisivo pubblica da ingerenze politiche. La lista è lunga, la cose da fare non mancano, quel che manca è la volontà, politica di farle.

Occorre quindi che la politica, le istituzioni diventino finalmente parte della soluzione e non del problema, che riconoscano, arginino e contrastino il fenomeno della limitazione e violazione della libertà di informazione, invece che alimentarlo e provare a trarne vantaggio. Oltretutto, un vantaggio miope, di breve, brevissimo periodo: la politica che trae beneficio dalla limitazione della libertà di informazione è solo quella che ha qualcosa, o molto, da nascondere, quella che non trova altri canali se non la manipolazione della verità, per affermare le proprie ragioni.