IT10CR22       AS (2010) CR 22

Versione provvisoria

SESSIONE ORDINARIA 2010

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(Terza parte)

ATTI

della ventiduesima seduta

Martedì 22 giugno 2010, ore 15.00

DISCORSI PRONUNCIATI IN ITALIANO


Piero FASSINO

(Doc. 12281)

Ringrazio il relatore, l’onorevole von Sydow, perché nel suo eccellente rapporto ci ha sollecitato ad affrontare il problema del Kossovo non chiudendoci soltanto nella soluzione dello status. Tutti sappiamo che con la dichiarazione unilaterale di indipendenza da parte del Kossovo, il Kossovo si è reso indipendente ma il suo status non è definitivamente riconosciuto da tutta la comunità internazionale e quindi sarà necessario che a questa dichiarazione unilaterale di indipendenza segua un processo politico, in particolare il processo politico che è necessario è la ripresa di negoziati tra le autorità di Belgrado e le istituzioni kossovare per arrivare a un’intesa. Anche la sentenza della Corte internazionale di giustizia che le due parti stanno attendendo non risolverà il problema sul piano politico e credo quindi che questa assemblea debba ancora una volta sollecitare le autorità di Belgrado e di Pristina a sedersi attorno a un tavolo, a riprendere i negoziati e a trovare un’intesa che consenta di risolvere i problemi della convivenza di questi due stati.

Ma prima che questo avvenga, in ogni caso al di là di quando questo avvenga, noi abbiamo il dovere - ed è questo a cui ci richiama l’onorevole von Sydow nel suo rapporto -, di affrontare i problemi del Kossovo di oggi e di vedere come siamo in grado di aiutare la costruzione in Kossovo di una società multietnica, di una società capace di essere fondata sul riconoscimento dello stato di diritto, capace di riconoscere i diritti di tutte le persone e di tutte le comunità. Anzi, credo che dobbiamo essere consapevoli che il problema dello status sarà tanto più facilmente risolvibile in un negoziato tra serbi e i kossovari in quanto in Kossovo intanto si siano create delle condizioni di convivenza che superano i conflitti di questi anni.

Il vero problema che da sempre mina e ha minato la vicenda politica dei Balcani è la continua tentazione di dare un fondamento etnico agli stati. Ed è esattamente questo che dobbiamo evitare che accada in Kossovo. Dobbiamo fare sì che in Kossovo si costruisca una società multietnica, capace di riconoscere i diritti, certo, della maggioranza albanese, ma di riconoscere uguali diritti alla minoranza serba così come alle altre minoranze che vengono richiamate nel rapporto di von Sydow. Abbiamo bisogno di costruire uno stato di diritto che sia capace di garantire l’imparzialità delle istituzioni, che sia capace di garantire un sistema dei media che effettivamente corrisponda ai principi di pluralismo dell’informazione.

Abbiamo necessità di fare in modo che i cittadini che abitano nel Kossovo, qualsiasi sia la comunità cui appartengono, qualsiasi sia la religione che praticano, si vedano riconosciuti nei propri diritti. In primo luogo siano riconosciuti nei loro diritti coloro che hanno dovuto fuggire per effetto della guerra di anni fa dal Kossovo e hanno diritto di tornare se lo desiderano, e di essere aiutati e accompagnati nel loro reintegro nella società in cui sono nati e in cui a lungo hanno vissuto.

Così abbiamo necessità di sostenere una soluzione a tutti i problemi irrisolti attinenti alle proprietà e alle relazioni tra le comunità e tra gli individui. Insomma, abbiamo bisogno di lavorare perché questi mesi e questi anni che abbiamo davanti non siano soltanto l’attesa della risoluzione del problema dello status e invece si costruiscano le condizioni di una convivenza tra uomini e donne, tra comunità nel Kossovo, che aiuti anche la risoluzione del problema dello status. E in quanto vada avanti questo processo, credo che così saremo in grado di dare un contributo anche alla stabilizzazione dei Balcani.

Sono passati quindici anni dalla pace di Dayton e dieci anni dalla crisi del Kossovo. In questi anni la comunità internazionale ha lavorato per stabilizzare i Balcani e fare in modo che quella fosse un’area di stabilità, di sicurezza e di pace. Dipende anche da noi fare in modo che in Kossovo continui questo nostro impegno con coerenza e continuità. Grazie.

Pietro MARCENARO

(Doc. 12281)

Grazie, Signor Presidente. Il rapporto di von Sydow e la sua proposta su cui si svolge la discussione di privilegiare la questione degli standard rispetto allo status, è una scelta politicamente intelligente perché è naturalmente giusto chiedere – lo ha fatto anche l’onorevole Fascina – che Belgrado e Pristina si siedano a un tavolo e riprendano il negoziato ma realisticamente sappiamo che è probabilmente l’ingresso nell’Unione europea il traguardo sul quale regolare le lancette dell’orologio per quanto riguarda la questione dello status. Cioè un traguardo che sta davanti a noi con qualche anno di tempo. Ma la messa in primo piano di questa questione degli standard europei su stato di diritto, democrazia e diritti umani mi pare nasca anche da una valutazione della situazione attuale in Kossovo, da un bilancio di questi primi anni che ci separano dalla dichiarazione di indipendenza. Ed è giusto dire che se non si sono avverate le previsioni pessimistiche di quanti parlavano di un aggravamento del conflitto e di una sua esplosione, se la violenza è stata controllata, tuttavia illegalità, criminalità organizzata, corruzione, cultura dei clan invece della cultura democrazia, queste sono le questioni con le quali si fanno i conti e non si può dire che queste siano calunnie escogitate da coloro che non hanno mai accettato la dichiarazione di indipendenza.

Pochi giorni fa, in una audizione della commissione estera del Senato, il responsabile del settore di giustizia di Eurex, ha tracciato un quadro molto preoccupato della costruzione di quello che è un pilastro fondamentale dello stato di diritto: la magistratura. Quando si arriva a dire che l’ottanta per cento dei magistrati costituisce non una soluzione ma una parte del problema, si dà un quadro che naturalmente è un quadro che va considerato con grandissima preoccupazione. Quindi, questa è la situazione e per questo, quella che stiamo facendo non è una discussione teorica, è una discussione con la quale il relatore ci ha richiamato alle nostre responsabilità; ha indicato un terreno sul quale possiamo fare qualcosa, non semplicemente fare una dichiarazione e con la consapevolezza che su questo terreno, senza una svolta, senza un diverso impegno, c’è una situazione che si può incancrenire, una situazione che può degenerare mentre invece, come molti hanno già ricordato, una crescita della democrazia, una crescita dello stato di diritto, una crescita del rispetto dei diritti umani possono costituire il terreno sul quale anche la questione dello status più facilmente può trovare delle soluzioni condivise in un altro contesto e in un’altra prospettiva.

Ecco, io penso che questo sia davvero il punto e il punto è se la nostra organizzazione su questa scelta decide di investire risorse. Anche noi, se decidiamo questo, lo possiamo fare sapendo che questo è un campo nel quale il Consiglio d’Europa può fare molto. E’ il nostro core business, è quello su cui possiamo davvero esercitare un ruolo e dare un contributo concreto.

Vannino CHITI

(Doc. 12281)

Grazie, Signor Presidente. Io considero questa discussione di particolare importanza perché affrontiamo la situazione del Kossovo e dobbiamo avere e abbiamo presente la complessità di quell’area che è stata attraversata e distrutta da guerre atroci. Abbiamo di fronte a noi la necessità di aiutare ad uscire da tensioni e da rapporti difficili tra etnie e abbiamo il compito di aiutare alla prevenzione così che non si ritorni a crisi affermando lo stato di diritto, affermando i diritti umani e uno sviluppo che consenta la dignità di vita.

A me pare che la relazione dell’onorevole von Sydow abbia due meriti. Non è vero che ha presentato una descrizione edulcorata della situazione del Kossovo. Al contrario: ci ha detto che c’è povertà, che nella vita concreta di ogni giorno lo stato di diritto non funziona, che c’è corruzione, che non funziona la giustizia, ci ha detto che è sottoscritta la convenzione europea dei diritti dell’uomo ma non può essere messa in pratica. E soprattutto la relazione pone una proposta giusta, politicamente giusta che condivido fortemente. Ed è questa: noi abbiamo posizioni diverse, certamente. Come stati, ma anche come singoli parlamentari all’interno dei vari stati. Sullo statuto del Kossovo, sulla sua proclamazione di indipendenza ancora soggetta alla corte di giustizia, un percorso politico non breve. Ma possiamo e dobbiamo essere uniti concentrandoci sulla priorità che è quella di contribuire a costruire lo stato di diritto, far vivere concretamente i principi e le sue norme, far sì che vi sia la partecipazione dei cittadini, di tutti, quale che sia la loro etnia o religione, alla vita delle istituzioni, a far sì che viva effettivamente la parità tra donne e uomini, il pluralismo e l’indipendenza dei media, la libertà di espressione. E’ questa la strada concreta per avere anche un sostegno allo sviluppo con investimenti dall’estero e soprattutto per ricostruire in modo graduale rapporti di fiducia reciproca tra le popolazioni, tra gli stati se è del Kossovo che devono tornare a parlarsi.

Per raggiungere questi obiettivi, è necessario che il Consiglio d’Europa sia presente, che realizzi forme di collaborazione con chi rappresenta il Kossovo con le sue autorità, le sue formazioni politiche. Le differenze sull’indipendenza del Kossovo non possono diventare, non possono tradursi in disinteresse o disimpegno, perché se facessimo questo, verremo meno a quella che è la missione del Consiglio d’Europa. Il compito nostro è quello di contribuire a realizzare ovunque nel nostro continente la democrazia, la libertà, la garanzia dei diritti umani ed è quello di non far vivere e di non far esistere stati su base etnica perché gli stati su base etnica sono ritorno indietro e preparano nuove disastrose avventure.

Il futuro di tutti i Balcani, non solo del Kossovo, si inserisce secondo me in questa prospettiva. Del resto, questa prospettiva è l’unica che garantisca a quest’area l’ingresso nell’Unione europea. Per concludere, Signor Presidente, l’ingresso nell’Unione europea è l’unica prospettiva che pone su basi solide in questa area la pacificazione, i diritti e lo sviluppo. Grazie.

Giacomo SANTINI

(Doc. 12174)

Signor Presidente, Colleghi, Madame Ardano che mi piacerebbe tradurre per il calore del suo intervento in italiano “Signora Ardente”. Infatti, dobbiamo ringraziarla perché ha dato la carica a questo dibattito che rischiava, è vero, di finire nella sonnolenza di un pomeriggio molto problematico a causa anche della partita di calcio.

Invece stiamo parlando di un problema che Madame ci ha ricordato, certamente non nuovo e che troveremo molte altre volte su questi banchi e altrove. Ed è un problema di un popolo che ben conosciamo in quanto da due o tre secoli è vissuto e continua a vivere fianco a fianco con tutti i popoli europei. Già è stato ricordato che oggi sono censiti – non some come abbiano fatto a censirli – ma oggi sono censiti dieci, dodici milioni di persone e costituiscono i Rom la più numerosa comunità, minoranza etnica e linguistica tutelata dal Consiglio d’Europa.

Più di qualsiasi altra minoranza, è giusto ricordarlo, ha avuto una storia anche drammatica assieme ai sinti, loro fratelli. Nel corso della seconda guerra mondiale hanno conosciuto la persecuzione nazista e non meno di 500.000 persone sono state uccise nei campi di sterminio. Poi, nei paesi dell’ex blocco socialista sovietico i rom furono costretti alla vita sedentaria, quindi con una violenza ulteriore sulla più spiccata delle loro radici culturali che rimane il nomadismo, diventando poi la più fragile fra le minoranze dei paesi in cui venivano ospitati.

Anche la recente guerra di dissoluzione della cosiddetta ex Jugoslavia ha avuto come conseguenza l’allontanamento forzato di tutte le comunità nomadi costrette ad andare altrove, nei paesi vicini: ecco come si giustifica per esempio la presenza di molti rom in Italia, in Germania e anche in Austria.

Nonostante la grande dispersione territoriale, i rom sono rimasti un popolo identificabile per la lingua romanesch e per tradizioni conservate intatte. Sappiamo che l’8 aprile 1971, a Londra si riunirono per la prima volta a congresso i rappresentanti delle diverse comunità rom d’Europa: si voleva creare un coordinamento ma evidentemente non tutto andò bene se è vero che solo dopo trentanove anni, l’8 aprile di quest’anno a Cordoba si è avuta la seconda riunione.

Ebbene, per la prima volta si è parlato in questa riunione di integrazione e cittadinanza europea: la maggior parte dei rom oggi sono cittadino comunitari e quindi sono in condizione di rivendicare diritti e di garantire anche l’osservanza di doveri. Il vero nodo rimane la convivenza con le popolazioni stanziali dei diversi stati in cui i rom e i sinti si muovono. Questo popolo è guardato ancora con diffidenza e con sospetto per motivi più o meno giustificati dei loro comportamenti alcuni dei quali, come i matrimoni fra bambini, sono stati ricordati più volte.

In molti casi, questi atteggiamenti si traducono in forme di ghettizzazione, di discriminazione e perfino di xenofobia ed è un atteggiamento a catena che provoca reazioni pare anche nei rom e quindi si crea un rapporto di violenza reciproca fra i rom e le popolazioni che li ospitano. In questo pregevole rapporto con il quale desidero complimentarmi, ci sono importanti innovazioni che vengono proposte sul piano dell’alfabetizzazione con proposta avanzata di portare i giovani fino all’università, sul piano dell’assistenza sanitaria, della casa, dell’occupazione.

Iniziative sorrette ormai da molte raccomandazioni e anche da molti documenti europei. Qualche volta non c’è una risposta adeguata proprio da parte dei rom che rifiutano proposte di lavoro, non ritenendole adatte al loro carattere, o rifiutano l’idea di vivere in una casa preferendo la libertà delle loro carovane.

Ecco, allora oggi è ancora più difficile forse aiutarli con una crisi generale che ha creato nuove forme di nomadismo involontario e di randagismo sociale, certamente non utili a dividere le poche risorse tra i rom e queste figure nuove. Ecco il progetto di raccomandazione chiede infine davvero un salto di qualità in questo problema per i rom che vanno considerati come popolo, come minoranza e non più soltanto come problema per la sicurezza degli altri popoli. Grazie.

Giuseppe GALATI

(Doc. 12174)

Grazie Presidente. La relazione elaborata dall’onorevole Berényi definisce chiaramente una situazione di insofferenza e a volte di razzismo delle popolazioni native nei confronti dei rom. In un passo della relazione viene menzionato un atto di razzismo in Croazia contro il vincitore del “grande fratello” su alcuni siti inneggianti la supremazia della razza bianca.

In Italia, nelle elezioni del 2009 del “grande fratello”, la vittoria è stata assegnata dal pubblico a un ragazzo montenegrino di origine rom senza destare alcuno scandalo fra la stessa popolazione italiana. Questo può essere considerato come un simbolo dell’integrazione. In quanto parlamentare italiano, mi preme sottolineare l’attenzione del governo italiano sulla questione sociale dei nomadi e il loro grado di integrazione nella cultura nazionale.

Gli episodi citati dal relatore sull’Italia non possono oggi essere rappresentativi dell’attuale reale situazione. Innanzitutto perché molte istituzioni locali, in virtù della loro autonomia in materia di sicurezza e politica sociale, hanno optato per un censimento per meglio comprendere il fenomeno legato alla condizione rom in Italia e soprattutto i numeri di questo fenomeno. In secondo luogo si è agito con lo sgombero di molti campi abusivi che proponevano condizioni di vita malsana, sostituendoli attrezzati e servizi igienici adeguati.

L’Italia crede nell’immigrazione: una buona integrazione però deve passare per forza di cose da una nitida regolamentazione che indichi la strada da percorrere per la giusta affermazione dei diritti umani. L’impegno dell’Italia sulla questione immigrazione è teso ad essere concretizzato con l’approvazione da parte del consiglio dei ministri italiano del piano nazionale “identità-incontro per l’integrazione nella sicurezza”. In questo piano ci sono l’educazione, l’apprendimento dalla lingua ai valori, poi il lavoro cercando di investire sulle competenze a partire dai paesi di origine, l’alloggio adeguato secondo i nostri standard, il rifiuto dei quartieri ghetto. Il piano parla anche della necessità di accompagnare gli immigrati nell’accesso ai servizi essenziali come quelli sociosanitari e assistenziali. E c’è alfine il grande tema dei minori, quelli non accompagnati, per i quali venga privilegiato l’affido come forma di integrazione, delle seconde generazioni alle quali viene prestata una particolarissima attenzione.

Un piano, dunque, che a ben vedere percorre il solco delle raccomandazioni che sono state tracciate nel rapporto mostrando il suo interesse non soltanto nei confronti dell’occupazione rom ma degli immigrati in genere.

Voglio esprimere quindi un parere positivo sul progetto di risoluzione ma ritengo altresì pertinenti gli interventi che i colleghi rapporteur ha voluto apportare con i loro emendamenti che devono essere presi in considerazione per migliorare questo già preliminare progetto di risoluzione. Grazie.

Pietro MARCENARO

(Doc. 12174)

Se si sapesse che nel vostro paese centinaia di persone intorno ai 55 anni stanno per essere condannate a morte e giustiziate, che cosa direbbero la radio e la televisione, cosa scriverebbero i giornali, cosa penserebbe l’opinione pubblica, cosa pensereste voi? Eppure si stima che l’aspettativa di vita media di un rom non superi i 55 anni, cioè sia molto inferiore ai 78 anni per me e agli 80 anni per mia moglie che è l’aspettativa di vita prevista mediamente per un italiano della nostra generazione.

Parlo degli indicatori di vita perché sono un indicatore sintetico della condizione umana e comunque il punto è che neanche quanto è esattamente l’aspettativa di vita si riesce a sapere di quella che è la più numerosa minoranza europea. Io ho cercato ovunque, senza trovarlo, un dato di questa natura. L’assenza di conoscenza e l’ignoranza sono una delle forme della discriminazione. Certo, i rom sono anche parte di una cultura premoderna e questo è particolarmente evidente quando guardiamo i rapporti nelle famiglie, i rapporti fra uomini e donne. Ma non è tenendoli in case che sono topaie, tirandoli fuori dalla scuola, negando loro il diritto alla sanità che promoveremo e aiuteremo il loro ingresso nella modernità, nell’universo dei diritti.

Il punto è che quando parliamo dei rom e dei sinti, parliamo di una questione molto difficile sulla quale proprio per la sua difficoltà, si misura il grado di civiltà dei nostri paesi e la questione dei rom ci ricorda in questa epoca di trionfo del populismo, che i diritti umani sono il tema più impopolare che ci sia. Pertanto a coloro che cercano i facili applausi dei loro elettori consiglio di stare lontano dalla questione dei rom e dei diritti umani in contrapposizione al campo nel quale si misura se la politica è capace di assumersi le proprie responsabilità e se è capace di affrontare questioni complesse, questioni che si presentano sempre come questioni contraddittorie ma che sono questioni sulle quali, alla fine ben fortunatamente in Europa si è deciso di misurare lo standard di civiltà dei paesi. Molte grazie della vostra attenzione.

Giacomo SANTINI

(Doc. 12168-12277)

Colleghi. Opportunamente la presidenza ha riunito in un unico dibattito due temi che sono strettamente connessi fra loro: gli accordi di riammissione e i rimpatri volontari. Tutto questo significa che producono un effetto identico, vale a dire che rimandano a casa persone che avevano deciso di cercare rifugio altrove. La preoccupazione comune che è stata espressa dai relatori con i quali mi rallegro, è che in ogni caso non convengano violati i diritti umani e siano garantiti quelli fondamentali dei cittadini comunitari oppure dei cittadini di paesi terzi. Inoltre, bisogna avere la certezza di non esporre i rimpatriati a rischi di persecuzione.

Ma un fatto è certo: con 10 milioni di immigrati irregolari negli stati membri del Consiglio d’Europa è anche urgente adottare provvedimenti di qualche tipo per alleggerire questi paesi, anche perché il popolo irregolare aumenta, a quanto pare, di 500.000 unità ogni anno. L’ideale sarebbe di arrivare a rimpatri volontari e assistiti nella maggior parte dei casi con la collaborazione spontanea dei diretti interessati: questo tipo di rimpatrio, è stato detto dalla relatrice, assicura non solo maggiori garanzie di rispetto dei diritti fondamentali ma sono anche molto più economici per i paesi che devono farvi fronte.

Sappiamo però che solo una minima parte degli immigrati regolari accetta volontariamente questa soluzione. Allora si è costretti a passare a rimpatri forzati con accordi di riammissione sempre difficili da ottenere. Ne sa qualche cosa il mio paese, l’Italia, che si trova, per dislocazione geografica, al centro del ciclone dell’immigrazione clandestina dall’Africa settentrionale e a questo proposito è bersagliata spesso da giudizi ingrati.

In Italia esistono oggi circa 100.000 immigrati irregolari che hanno ottenuto una qualche forma di protezione. Tra coloro che sbarcano sulle coste italiane il 75% chiede asilo politico e il 50% di questi lo ottiene subito. Ciononostante, il fenomeno è troppo massiccio da rendere la lotta alla pari. Nel 2008 furono rimpatriati 46.000 clandestini: più di 8.000 con accordi di riammissione, gli altri con provvedimenti di espulsione. La legge italiana, la nova legge che regola la materia, ora è stata copiata anche da altri paesi europei e sta producendo risultati importanti. Sempre nel 2008 erano sbarcati a Lampedusa più di 30.000 clandestini. Entrata in vigore questa legge, nel 2009 gli sbarchi sono stati soltanto di 3.185 unità, vale a dire con una riduzione del 90%.

E’ il risultato del novo sistema di respingimento in mare con navi attrezzate per garantire agli immigrati soccorso immediato, assistenza sanitaria, cibo e bevande, ma dotate anche di apparecchiature elettroniche che consentono in tempo reale di determinare chi ha diritto ad asilo e che è invece irregolare nel pieno rispetto del principio del non-refulment.

Nei casi irregolari, una volta rifocillati e assistiti, i clandestini vengono restituiti al porto di partenza. Quelli ammessi, ritenuti quindi titolari di asilo, vengono accolti nei centri di assistenza e da quel momento sono a carico totale dell’Italia.

Leggo in un rapporto del ministro degli interni che è stato chiesto a molti altri paesi europei per sostenere questo onere. Quasi nessuno, anzi nessuno ha risposto: il problema è italiano ci hanno detto e ve lo tenete. Ecco per questo, per favore, qui nessuno qui o al Parlamento europeo incominci a criticare l’Italia per quello che fa.

Infine, in un altro rapporto si parla della situazione dei minori clandestini: ebbene, in Italia nessun minore è mai stato respinto. A tutti stata concessa accoglienza. Infine, l’Italia ha varato proprio in questo giorni il programma europeo “solidarietà e gestione dei flussi migratori” che stanzia ben 500 milioni di euro, distribuiti fra il sostegno a FRONTEX, alle iniziative di integrazione e ai rimpatri.