IT11CR17       AS (2011) CR 17

Versione provvisoria

SESSIONE ORDINARIA 2011

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(Seconda parte)

ATTI

della diciassettesima seduta

Giovedì 14 aprile 2011, ore 15.00

DISCORSI PRONUNCIATI IN ITALIANO

SANTINI ( Doc. 12456)

Grazie Presidente, sembra perfino paradossale che nel 2011 stiamo ancora qui a parlare di pena di morte, in un’Assemblea nata per difendere i diritti umani, primo fra tutti, com’è già stato detto, il diritto alla vita.

Per i cattolici, il rifiuto di una pena che tolga la vita ad una persona è la base stessa della fede quindi il principio che non sarebbe nemmeno da mettere in discussione. Non è solo un peccato mortale. E’ proprio una base di appartenenza a questa fede. La vita non viene donata da apparati politici o giudiziari e quindi essi non sono titolati a toglierla a nessuno, nemmeno al più feroce degli assassini.

Per chi non ha un credo religioso che lo vieti, il rifiuto della pena di morte assume il valore di una scelta di civiltà e di democrazia. In ogni caso è una condizione pregiudiziale per tutti i paesi membri del Consiglio d’Europa ed anche per i paesi candidati e gli osservatori. Quindi dicevo che è pleonastico che ne discutiamo fra noi. Auguriamoci che ci sia qualcuno che ci stia ascoltando in questo momento che venga dagli Stati Uniti o dal Giappone o dalla Bielorussia.

E’ vero che in alcuni Stati americani la pena è stata abolita e sembra che questo trend si stia diffondendo in maniera promettente anche in altri. In Giappone sembra invece, da notizie che si leggono sui giornali, che non ci siano segnali di vero ravvedimento e che la pena di morte invece sia eseguita in maniera perfino subdola, quasi a sorpresa, aggiungendo quindi angoscia nell’attesa sia per il condannato che per tutti i familiari.

Venendo ancora alla Bielorussia, che è tra gli stati che aspirano entrare nel Consiglio d’Europa, è ancora fuori proprio perché non ha dato segnali chiari di voler rinunciare a questa barbara pratica per amministrare la giustizia. Tra l’altro sono dimostrati anche alcuni effetti collaterali che dovrebbero convincere tutti: la morte non è mai stata un vero deterrente a non delinquere più per i criminali più incalliti e più feroci.

Infine c’è un dettaglio che può apparire banale accanto ai valori veri come quelli fin qui ricordati, e pare che applicare e gestire la pena di morte sia molto costoso per gli stati che ancora la mantengono. E allora mi sembra opportuna l’esortazione che emana questo rapporto che consiglia agli stati che ancora hanno la pena di morte, di dedicare quei soldi, soldi spesi molti male per uccidere della gente, a iniziative di prevenzione dei delitti.

Questa lotta è parallela alla lotta per l’abolizione della tortura come pratica di repressione e d’indagine di polizia. Non a caso i due rapporti sono stati affiancati in questa giornata. Per molti di noi suona come inconcepibile che vi siano paesi che si dichiarano civili e che ancora praticano queste forme di repressione sulla persona.

Nel mio paese, l’Italia, si discute molto di questa problematica nell’ambito del parlamento nazionale proprio per ribadire il nostro impegno dissuasivo verso i casi che sorgono ancora nel mondo: ricordo con grande enfasi il dibattito che vi è stato al momento della condanna di Tarek Aziz in Iraq, per giungere ad una moratoria. Altro grande dibattito per scongiurare l’esecuzione di Sakineh Mohammadi Ashtiani in Iran. Ma occorre opporsi anche alle centinaia di condanne a morte nel nome della Sharia nei paesi di radice islamica. La lapidazione è la forma più crudele e selvaggia di pena di morte e non esiste alcuna giustificazione, tantomeno religiosa, per consentirla.

Vorrei infine ricordare che è stato il governo italiano a promuovere nell’ambito dell’Assemblea dell’ONU una mozione per l’abolizione della pena di morte raccogliendo subito molte adesioni da parte di parecchi paesi. Speriamo che questo consenso aumenti ancora e diventi universale.

BUGNANO ( Doc. 12551)

Oggi l’Assemblea è chiamata ad esaminare un documento molto importante che è stato stilato dal signor Gardetto che io vorrei ringraziare ed unirmi ai complimenti che gli sono già stati rivolti per questa relazione.

Vorrei appuntare l’attenzione su due aspetti che sono trattati in questa relazione: il primo è la necessità che OPCAT il Protocollo convenzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura venga ratificato al più presto da tutti gli stati membri e che si sviluppi, questo è il secondo aspetto che mi piace sottolineare, una sempre maggiore sinergia tra il Know how del CTP e i singoli stati, molti dei quali non hanno ancora sviluppato i meccanismi nazionali di prevenzione. Il tema ritengo sia importantissimo, di assoluta attualità e riguarda l’Europa nel suo complesso. Basta ricordare che l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo ci dice che nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.

E ancora gli articoli 2 e 16 della Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli obbligano ogni stato ad adottare misure effettive per prevenire gli atti di tortura. L’OPCAT pur adottato nel dicembre 2002 dalle Nazioni Unite è entrato in vigore soltanto nel giugno 2006, dando vita però per la prima volta ad un doppio pilastro per la prevenzione della tortura a livello internazionale e a livello nazionale in quanto gli stati parte avrebbero avuto l’obbligo di creare o designare, entro un anno dalla ratifica del protocollo, appositi organismi indipendenti, i cosidetti meccanismi nazionali di prevenzione.

Purtroppo come è stato ricordato anche in altri interventi, non tutti gli stati si sono ancora adeguati e questi strumenti non esistono ancora in tutti gli stati. L’importanza dei due aspetti che ho evidenziato e che emergono dalla relazione dell’on. Gardetto si comprende molto bene proprio se si pensa al tema delle pene e della detenzione. E’ infatti in aumento il numero delle persone che sono detenute in uno stato membro diverso dal proprio e che si trovano in presenza di condizioni di detenzione che differiscono considerevolmente a seconda degli stati membri.

Purtroppo anche l’Italia è una di quelle nazioni che non ha ancora completamente attuato gli adempimenti dell’OPCAT. Credo che l’artefice principale del successo che è stato ottenuto dall’azione del CTP, che è già stato ricordato, è sicuramente lo strumento della dichiarazione pubblica. Essa si è dimostrata rispetto alle sentenze internazionali e ai complicati rapporti con il diritto interno dei singoli stati credo una arma ben più flessibile e diretta. I risultati che sono stati raggiunti da un organismo internazionale come il CTP, che tutto sommato è relativamente giovane, si sono dimostrati di una quantità e di una qualità superiori in virtù della sua capacità d’introdursi direttamente nella vita interna dei singoli stati.

Un potere che prima del Comitato non era mai stato riconosciuto a nessun altra istituzione. Per questo credo sia auspicabile in futuro e credo che la relazione dell’on. Gardetto vada in questa direzione potenziare questa struttura e i rapporti che questa può avere con gli stati membri.