IT14CR6

AS (2012) CR 6

 

Versione provvisoria

SESSIONE ORDINARIA 2014

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(Prima parte)

ATTI

della sesta seduta

Mercoledì 29 gennaio 2014, ore 15.30

DISCORSI PRONUNCIATI IN ITALIANO

Khalid CHAOUKI (Italia, SOC / SOC)

(Doc. 13372)

Grazie Presidente.

Io innanzitutto vorrei dire, per una questione di verità storica, che non possiamo non ricordare il fatto che le prime manifestazioni in Siria che chiedevano la libertà e la dignità per il popolo siriano contro il regime di Assad erano tra le più belle manifestazioni pacifiche, che con canti, poesie, scuole e studenti chiedevano in modo pacifico e non violento un destino, finalmente, di libertà e democrazia. Così è iniziata la richiesta di libertà in Siria e, purtroppo, c’è stata invece una reazione sanguinaria, violenta. Sicuramente, in quel momento lì, noi avremmo potuto e dovuto avere una reazione più forte nei confronti del regime di Assad e chiedere di bloccare immediatamente questa violenza. Quindi, se vogliamo essere onesti, dobbiamo innanzitutto ricordarci com’è nata questa vicenda.

È chiaro che oggi gli attori in campo sono tanti, c’è almeno una battaglia tripolare tra i ribelli, i movimenti filo-qaedisti e il regime. Però è importante anche avere l’onestà intellettuale di ricordare come sono andate le cose fin dall’inizio e che a un certo punto, purtroppo, il ricorso alle armi da parte dei ribelli è stato innanzitutto per la tutela delle proprie vite e delle proprie famiglie. La violenza non è mai accettabile, però è giusto ricordare anche questo inizio della vicenda siriana.

Rispetto al tema dei profughi, anch’io ringrazio il relatore. Com’è stato ricordato poco fa, noi, nell’ambito dell’Assemblea dell’Unione per il Mediterraneo siamo stati più di una volta nei campi profughi e oggi abbiamo il dovere di offrire un aiuto maggiore ai paesi limitrofi. C’è una vera emergenza, che non è solo umanitaria, ma un’emergenza che rischia di compromettere anche la stabilità dei paesi vicini, a partire dalla Giordania, dal Libano e dalla Turchia. Abbiamo il dovere di offrire una prospettiva più a medio termine, purtroppo, alla condizione dei profughi siriani dato che la situazione politica, a quanto pare, non si sbloccherà nei prossimi mesi.

Rispetto a questo punto, credo che non basti più semplicemente dare soldi, contributi - che l’Unione europea ovviamente dà e ne andiamo orgogliosi – ma serve un piano di accoglienza temporanea da un punto di vista europeo rispetto ai profughi siriani. Serve oggi ragionare su un corridoio umanitario che offra ai profughi siriani la possibilità di arrivare in condizioni di salvaguardia delle loro vite e soprattutto per non alimentare la speculazione criminale di bande che stanno traendo molto profitto da questi viaggi pericolosi. A questo proposito, ho visto il riferimento all’Italia: 3.300 profughi siriani in soli 40 giorni. Sostengo il punto 12 in cui si chiede generosità e solidarietà con distribuzione equilibrata tra i paesi in questo piano di accoglienza.

Noi dobbiamo oggi dare un segnale più concreto nella condivisione di questa responsabilità, come paesi europei e membri del Consiglio d’Europa, e soprattutto pensare che tra quei profughi ci sono anche profughi palestinesi che sono doppiamente esuli in questa situazione.

Grazie.

Michele NICOLETTI (Italia, NI /NR)

(Doc. 13367 e 13361)

Grazie Presidente.

Cari Colleghe e Colleghi, voglio esprimere il mio apprezzamento per il rapporto che è stato presentato da Athina KYRIAKIDOU perché tocca un punto fondamentale nelle politiche d’integrazione degli immigrati, ossia la lotta contro i pregiudizi nei loro confronti. È uno dei pregiudizi maggiormente radicati il fatto che la loro presenza all’interno delle società europee costituisca uno svantaggio sul piano economico e sociale. E bene fa il rapporto a censurare l’utilizzo di questi argomenti da parte di personalità che hanno responsabilità pubbliche e che hanno accesso ai dati ufficiali.

Questa difesa, però, deve essere inserita in una chiara cornice etica e giuridica: è chiaro che la difesa dei diritti fondamentali delle persone non può basarsi, in ultima istanza, sulla loro maggiore o minore utilità. Lo dico in un luogo come il Consiglio d’Europa, che è legato alla difesa dei diritti di ogni persona, indipendentemente dalla loro provenienza. E nella storia della nostra istituzione e nella storia della nostra civiltà, il diritto delle persone è frutto di un approccio universalistico che si basa non sull’uso che una società può fare degli individui, ma sulla dignità di ciascuna persona, a prescindere dal vantaggio sociale che la persona procura al gruppo di cui fa parte.

È però vero che il disconoscimento della dignità della persona nei soggetti più vulnerabili si nutre di giudizi anche di tipo utilitaristico e quindi è giusto e urgente combattere questi pregiudizi che aumentano l’ostilità e inaspriscono le tensioni sociali. E uno di questi è certamente legato al fatto che la presenza di immigrati sia considerata un danno sociale ed economico, una sorta di parassitismo. I dati dimostrano il contrario sul piano demografico, sul piano economico e sul piano culturale. Mi piace ricordare che nella mia società, la società italiana, è forte il pregiudizio secondo cui gli immigrati giocherebbero un ruolo negativo nel sistema del welfare e peserebbero in modo iniquo sull’organizzazione dei servizi e dell’assistenza sociale.

È vero il contrario: non solo perché buona parte del welfare si avvale oggi, e non potrebbe essere gestito senza, l’aiuto degli immigranti, ma anche dal punto di vista economico. Nel 2011 lo Stato italiano ha speso 11,9 miliardi in politiche d’integrazione e ha incassato 13,3 miliardi da contributi previdenziali e tasse pagate da immigrati, con un vantaggio di 1,4 miliardi. Non si può quindi parlare di una iniquità: al contrario, ci si dovrebbe porre il problema del recupero dei contributi previdenziali versati nei nostri paesi per chi decide di rimpatriare prima di poter godere del trattamento pensionistico e allora la vera sfida è quella di incrementare il lavoro regolare e il rispetto della legalità per costruire quella società del riconoscimento reciproco in cui noi vogliamo vivere.

Grazie.

Khalid CHAOUKI (Italia, SOC / SOC)

(Doc. 13367 e 13361)

Grazie.

Ringrazio le nostre due colleghe per queste due relazioni e proposte di soluzioni che raccontano in qualche modo quella che è la complessità dell’immigrazione e quello che ha rappresentato in questi ultimi anni. Da una parte riconosciamo il contributo importante dell’immigrazione nel ruolo dell’economia e della sopravvivenza, se non addirittura della crescita dei nostri paesi, ma dall’altra, è chiaro che in molti casi facciamo fatica a raccontare questo contributo a tutti i cittadini e a spiegarlo. Ecco allora che il tema dei test d’ingresso in molti casi è stato una risposta ideologica a un problema reale che viene riconosciuto e sottolineato in questa proposta di risoluzione.

Apprezzo quindi l’equilibrio e la difficoltà di tenere insieme la necessità di far sì che la lingua possa diventare lo strumento importante d’integrazione e di dialogo, ma dall’altra parte bisogna evitare che questi test siano strumento di ricatto se non addirittura d’impedimento dell’inserimento delle comunità straniere nei nostri paesi.

Credo che sia importante riconoscere anche in questa sede che la convivenza nelle nostre società multiculturali prevede oggi una fatica che devono fare tutti, in primis ovviamente gli immigrati ma anche la società autoctona, che deve abituarsi sempre di più ad accogliere, e quindi penso che serva un percorso di incentivo e di incoraggiamento ad imparare le lingue dei paesi dove ci si reca e non, invece, fare dei test che in alcuni casi contengono difformità. Ci sono situazioni in alcune città, in Italia per esempio, dove il 40% delle persone non passa i test mentre in altre città solo una piccola parte non li passa: significa che oggi purtroppo c’è troppa discrezionalità nella valutazione dei risultati di questi test di lingua per poter ottenere i permessi di soggiorno e la cittadinanza.

Un tema importante è quello delle donne. Io credo che vada favorito un apprendimento della lingua soprattutto per le donne e in particolare in alcune comunità dove purtroppo la possibilità per le donne di accedere anche a questo tipo di iniziative e di corsi è ancora limitata, e soprattutto garantire – e in questo concordo con la risoluzione – la gratuità dei costi. Chiediamo che lo Stato si assuma l’onere di garantire a tutti l’accesso gratuito ai test di lingua.

Infine penso che dobbiamo avere anche il coraggio, oggi, di dire che il pluralismo, anche quello linguistico, arricchisce i nostri paesi. E quindi vanno benissimo i test, ma deve essere importante anche riconoscere la ricchezza che nuove lingue oggi hanno introdotto nei paesi europei dove, appunto grazie alle seconde generazioni, alle terze e alle quarte, qualora mantengano le lingue di origine, possono svolgere un ruolo importante per l’economia europea e diventare ambasciatori anche rispetto ai paesi di origine a favore di uno sviluppo in un’Europa che purtroppo è sempre più in crisi.

Viorel Riceard BADEA (Romania, EPP/CD / PPE/DC)

(Doc. 13367 e 13361)

Grazie.

Cari Colleghe, cari Colleghi, prima di tutto vorrei congratularmi con gli autori della relazione. È davvero una relazione che riesce a comprendere, in tutta la sua complessità, la situazione dell’immigrazione in Europa.

Questo ve lo dice un senatore che lavora in questo settore da oltre quindici anni. In tutto questo periodo sono riuscito a conoscere molto bene le nostre comunità, non solo quelle della Romania, e mi sono reso conto che in tutto questo periodo le comunità di migranti sono riuscite davvero a far mantenere lo stato di residenza. Nel senso che, per quanto è di mia conoscenza, nella maggior parte degli Stati gli immigrati sono quelli che sono sempre i primi a pagare le tasse, quelli che riescono a mantenere in piedi il PIL di uno Stato. Tuttavia questi immigrati sono purtroppo come una bestia a due facce: quando svolgono i lavori più vergognosi sono i migliori, quando arriva il momento delle campagne elettorali diventano i peggiori. Stanno praticamente diventando, a volte per 4 anni, a volte per un periodo più lungo, quelli che portano maggiormente verso questo o quel partito.

Ascoltavo poco fa uno dei nostri colleghi che diceva che un politico deve tener conto nella sua missione di quello che viene detto dal suo elettorato, volendo dire che sono tanti quelli che fanno parte della maggioranza che hanno qualcosa da dire conto gli immigrati. È falso. Secondo la mia esperienza – e non è un’esperienza di due anni – ho visto che l’opinione della popolazione maggioritaria viene indotta dal politico tramite certi media, certi giornali, certe reti televisive.

Quando parlo con i dignitari, con quelli che dirigono un paese, assolutamente tutti mi dicono delle cose belle sugli immigrati: che li aiutano nei lavori domestici, che senza il loro contributo non riuscirebbero a occuparsi dei bambini, a curare il nonno, ecc. Ma quando arriva la campagna elettorale, tutto questo sparisce come per miracolo. Per questo dico che dobbiamo tenere conto di assolutamente tutto ciò che è scritto in questa relazione.

Inoltre, vi faccio anche una proposta. Nel mio paese - ma penso anche negli altri - ci sono degli organismi di autorità che stanno monitorando i mass media. Non mi sembra normale che quando viene riportato un reato, si dice che quel cittadino è un cittadino marocchino o tedesco, o altro. No, quella è una persona che ha commesso un’infrazione, punto. Perché quando aggiungiamo la nazionalità a un’infrazione che non ha nazionalità, non facciamo altro che mettere la popolazione contro gli immigrati.

Grazie e, ancora una volta, complimenti per la sua relazione.