SESSIONE ORDINARIA 2003

(Prima parte)

ATTI

della ottava seduta

Venerdì 31 gennaio 2003 - ore 9

DISCORSI PRONUNCIATI IN ITALIANO

Si prega di notare che questa è la versione provvisoria degli atti del dibattito del 31 gennaio 2003 delle ore 9
visto che i discorsi non sono stati ancora corretti dagli oratori


            GUBERT. (Con riferimento al documento n. 9645). Signor Presidente, il documento che abbiamo all’esame analizza i problemi che si pongono per una adeguata tutela degli immigrati giovani e propone delle raccomandazioni. Nell’insieme non si può che dare un giudizio positivo. Soprattutto nel caso di migrazioni di minori, una società civile ispirata al valore della solidarietà, come vuole essere quella europea, non può che preoccuparsi di garantire ad essi i diritti fondamentali, un’adeguata tutela legale, il diritto-dovere del ricongiungimento con la famiglia, favorendo il rientro del minore nella sua famiglia nel paese di origine con sufficienti garanzie, una tutela di fronte a chi dei minori intende abusare rendendoli oggetto di traffici criminali.

            Vi è tuttavia, sottostante ad alcuni punti del progetto di raccomandazione, un qualcosa di più, che attiene ai diritti di cittadinanza, che interagisce con la concezione della natura delle comunità nazioali. In qualche punto, la raccomandazione suggerisce la doverosità di considerare gli immigrati o i loro figli quali cittadini. Si tratta di materia attinente al modo nel quale, una comunità, locale, regionale, nazionale, concepisce se stessa. Vi possono essere casi nei quali è sufficiente un breve rapporto di convivenza per considerare un nuovo venuto come parte della comunità. Vi sono però altri casi nei quali il senso di identità della comunità territoriale è più fortemente connotato in termini culturali, storici, etnici. Vi sono altri casi nei quali l’appartenenza alla comunità territoriale è stata accompaganata da una particolare attribuzione di parte del reddito a scopi collettivi di garanzia del soddisfacimento di bisogni dei membri, quali il bisogno di adeguato alloggio o di cure della salute o di sostegno nel caso di disoccupazione o di periodi di privazione di reddito per studio o per svolgere compiti familiari, eccetera.

            Se nel primo caso può essere ragionevole che basti nascere in un luogo o il risiedervi per breve tempo per accedere ai diritti concessi ai membri della comunità, negli altri casi deve essere consentito alle comunità di decidere tempi e criteri per l’inclusione in essa di nuovi venuti, per assegnare ad essi gli stessi diritti dei membri originari costitutivi della comunità.

            Se la più ampia comunità sovranazionale estende a questi casi il criterio adatto al primo caso, non considerando la varietà di situazioni presenti, crea rigetto, aumenta tendenze al rifiuto, rende più difficile i buoni rapporti fra immigrati e comunità.

            Garantiti i diritti fondamentali propri di ogni persona in quanto tale, spetta ad ogni comunità  regolare l’accesso ad essa, facendo diventare membro un ospite. All’ospite si può anche liberamente offrire la stanza migliore, si può anche dare i migliori cibi e i migliori vestiti, le migliore cure ed attenzioni; ma ciò deve essere lasciato alla libera determinazione; quando l’ospite esige qualcosa, il rapporto si incrina, quando si stabilisce esogenamente, per imposizione, quando l’ospite diventa co-padrone di casa, si creano le premesse per dissapori e conflitti. Per questo mi auguro che l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, alla giusta tutela dell’immigrato unisca il pieno rispetto della diversità con la quale è vissuta nei paesi europei l’appartenenza alle comunità locali, regionali e nazionali.

            GUBERT. Signor Presidente, la raccomandazione contenuta nel Documento 4695 invita gli Stati a concedere il diritto di voto nelle elezioni amministrative dopo tre anni di residenza nella comunità. Domando se sia veramente così necessario fissare un termine uniforme per tutta l’Europa, per ogni situazione.

            Vorrei ricordare che ci sono diverse situazioni: le comunità urbane potrebbero adeguarsi, le comunità rurali molto più difficilmente. Le comunità con problemi di equilibri etnici avranno più difficoltà rispetto alle altre. Faccio poi presente che nell’Alto Adige –Südtirol esiste il limite di cinque anni per poter votare, anche per un italiano che entra in questa regione italiana.

            E’ possibile, dunque, che possano votare gli stranieri mentre invece i lombardi, i veneti che si recano in quella regione siano tenuti per legge a non votare? A me sembra che un termine di cinque anni sia più ragionevole e più compatibile in ogni caso con l’ordinamento italiano.

            GUBERT. Signor Presidente, l’emendamento 2 interviene su un altro paragrafo del progetto di raccomandazione, precisamente laddove si dice che è sufficiente che una persona nasca sul territorio di uno Stato per acquisirne la cittadinanza. Ogni Stato deve poter decidere autonomamente; mi domando se sia necessario obbligare in tal senso tutti i Paesi europei.

            Vi sono persone che transitano in un paese per turismo, persone che vivono – in maniera legale - in un paese per qualche mese, poi comunque vanno via. Forse sarebbe meglio rendere cittadini italiani coloro che intendono rimanere in Italia, in questo caso avrebbe veramente senso dare la cittadinanza ai loro figli  perché nati in territorio italiano. Invece, se la permanenza è temporanea, che senso ha dar loro la cittadinanza del paese in cui sono nati?

            GUBERT. Signor Presidente, l’emendamento 3 è più un aggiustamento linguistico che non di sostanza. Lo “stereotipo”  è uno strumento normale per procedere in ambito conoscitivo; si pone a livello delle conoscenze ed è normalissimo semplificare la multiforme realtà con “stereotipi”. Noi, invece, dovremmo evitare che nei testi vi siano pregiudizi verso gli immigrati stranieri. Mi sembra più appropriato il termine “pregiudizio” rispetto a “stereotipo”, essendo quest’ultimo più neutro e più sul livello della conoscenza che non della valutazione.