SESSIONE ORDINARIA 2004(Prima parte)
ATTI
della ottava seduta
Venerdì 30 gennaio 2004 - ore 9
DISCORSI PRONUNCIATI IN ITALIANO
Gaburro
Signor Presidente, colleghi.
Desidero anch’io esprimere la mia personale gratitudine e l’apprezzamento del gruppo del PPE all’On. Andrian Severin e all’On.Shybko per gli interessanti e stimolanti rapporti sull’allargamento.
L’Unione Europea, è stato detto, si appresta a varare il più grande allargamento della sua storia. Finché si parla d’allargamento ad Est, in generale prevale in molti paesi il consenso ad un’Europa più grande, ma quando si scende nel dettaglio, spesso emergono opinioni contrastanti e difficoltà. I paesi che stanno per entrare presentano delle disparità e la distanza economica è alla base di una serie di difficoltà.
D’altra parte, il progresso compiuto dai Paesi Baltici e dall’Europa centro-orientale nel trasformare un’economia pianificata in economia di mercato è davvero impressionante.
Possiamo oggi rileggere il periodo in cui gli Stati dell’Europa dell’Est facevano parte del Comecon come un semplice - riporto tra virgolette - “incidente di percorso”.
L’allargamento è un ritorno in Europa dopo un periodo d’allontanamento. C’è chi vorrebbe che i nuovi membri avessero già ridotto le disparità. Non è cosa che possa avvenire dall’oggi al domani. Anche gli scenari di convergenza più ottimistici prevedono per alcuni dei nuovi membri, tra l’altro quelli più densamente popolati, più anni per avvicinare i livelli dei paesi dell’Unione.
Le preoccupazioni rivelano potenziali tensioni fra allargamento e integrazione. Dicono che un’Europa più grande potrebbe rischiare di diventare meno unita, meno integrata, che potrebbero essere utili correttivi in grado di tener conto di questa maggiore eterogeneità e di accelerare il più possibile la convergenza.
C’è nel gergo degli economisti un “trade off” fra dimensione dell’Unione e profondità della sua integrazione economica e politica.
Pare per alcuni non facile averne più dell’una e dell’altra. Ma sono convinto che in questo caso potremmo fare cose e ottenere risultati molto importanti.
L’agenda politica è costruita con l’idea che i problemi da affrontare abbiano a che vedere quasi esclusivamente con i processi decisionali e l‘architettura istituzionale dell’Unione e non con le politiche ridistributive.
L’allargamento richiede revisioni coraggiose delle politiche comunitarie. Si tratta di riformare radicalmente la politica agricola comune, di rivedere le politiche strutturali, di mettere in piedi un sistema di finanziamento di queste politiche trasparente e basato sulle differenze, in grado di favorire ridistribuzione non solo nel dare, ma anche nel ricevere.
Si tratta infine di promuovere una politica dell’immigrazione comune in grado di controllare i flussi migratori da quelli che saranno i nuovi confini dell’Unione e di permettere che si arrivi effettivamente ad un mercato del lavoro unico, da Praga a Lisbona, da Tallin a Malta. L’allargamento è destinato di per sé a stimolare la crescita, non solo economica, è stato ricordato, ma anche sociale e culturale in un’Europa che ci permetterà di entrare in mercati e aree del mondo più vaste e diverse.
C’è chi potrebbe subirne qualche iniziale contraccolpo negativo: noi siamo convinti e vogliamo che diventi un vero e grande e serio successo per tutti.
GUBERT
Signor Presidente.
La parola integrazione ha un significato ambiguo, perché può voler dire “consentire alla gente di partecipare alla vita collettiva secondo quello che lei ritiene opportuno” o voler anche dire, “indurla ad abbandonare le proprie pratiche d’origine per acquisire quelle della società ospite”.
Il caso francese, di questi giorni, in cui si fa divieto ai Musulmani di usare il velo può essere interpretato come un incoraggiamento all’integrazione perché mantenere il velo ha un significato di distinzione.
Non è detto che il progresso sia integrazione, può essere anche il pluralismo. Perché non possiamo pensare ad una società dove vi siano in relazione tra loro più voci culturali? Credo che il significato di questa proposta andrebbe precisato. Grazie.
GUBERT
Signor Presidente, siamo sempre alle solite, si cerca di superare le difficoltà con la politica delle quote. Addirittura vi è una quota del 40% nella sottocommissione sulla base di una rappresentanza che è certamente minore. Vi è una forte sproporzione tra la presenza di parlamentari donne e la loro percentuale nella Commissione. Esiste sempre questo principio che legittima la disuguaglianza, ora se volessimo legittimare la disuguaglianza la dovremmo legittimare anche in altri campi: religione, razza, etnia, lingua e perché queste cose scompaiono e rimane solo il sesso come valore rilevante, mi sembra che stiamo prendendo la direzione sbagliata. Inoltre non si garantisce che non ci sia discriminazione sessuale perché si dice”almeno il 40%”, il che significa che se fossero il 100% di donne noi voteremmo escludendo tutti gli uomini, mi sembra che l’emendamento è mal formulato. Grazie.
GUBERT
Signor Presidente, non è che sia sbagliato il criterio ma se per caso vi fosse già la preferenza data al sesso meno rappresentato, noi avremmo una doppia rappresentanza. Siamo sicuri che non ci sia già quest’elemento nei criteri di giudizio perché altrimenti avremmo un doppio premio. Grazie.