SESSIONE ORDINARIA 2004

(Seconda parte)

ATTI

della nona seduta

Lunedí 26 aprile 2004 - ore 15

DISCORSI PRONUNCIATI IN ITALIANO


RIGONI

Presidente, Onorevoli colleghi.

La mia diretta esperienza d’osservatore in occasione delle elezioni presidenziali del marzo 2004 in Russia mi spinge ad alcune considerazioni. Queste elezioni si collocano in una fase della politica internazionale della quale a nessuno sfugge la delicatezza e l’estrema gravità. I disordini delle azioni terroristiche in Iraq così come gli attentati di matrice estremista islamica in Europa rendono quanto mai incerto il quadro istituzionale complessivo e rendono quanto mai necessaria un’azione concertata.

Non bisogna dimenticare che la presidenza Putin ha fin qui assicurato un sostanziale appoggio alla lotta contro il terrorismo. La Federazione Russa ha costituito un avamposto di svolgimento di tale lotta, com’ è noto a tutti. Alla luce di queste premesse, la rielezione del Presidente Putin, peraltro avvenuta a larga maggioranza, più del 70%, assume il significato di un ampio appoggio del corpo elettorale russo alla politica di riforme in senso liberale e occidentale del Presidente.

Ci sono sicuramente progressi da fare su ciascuno dei punti evidenziati nella relazione: copertura dei media, propaganda elettorale, par condicio dei candidati. Vorrei però che non sfuggissero a nessuno di noi i contorni esatti della vicenda: le elezioni russe hanno corrisposto ai requisiti di fondo che tutti noi siamo abituati a richiedere a consultazioni democratiche.

Ci troviamo di fronte ad un risultato che, collocato nella prospettiva delle vicende storiche di questo secolo, resta per me rilevante se non addirittura eccezionale. In un paese che fino a meno di venti anni fa rappresentava l’antitesi della democrazia, è in corso un processo di evoluzione politica che ha consentito per la quarta volta l’investitura di un vero presidente rappresentativo della società.

Veniamo al punto nodale della relazione Bindig: il rapporto formula una serie d’osservazioni critiche sulle modalità di svolgimento delle elezioni, in particolare sulla trasparenza della campagna elettorale realizzatasi attraverso i media. Certo, questo è un problema che ancora va risolto, ma il punto centrale mi pare - che anche lo stesso ottimo rapporto Bindig riconosce - è che "elections were generally well administrated". Perché si tratta di dare un giudizio su quello che è stato l’esito elettorale. Anzi, si afferma nel rapporto che la commissione elettorale centrale ha adottato prontamente linee informative per la commissione elettorale locale accogliendo le osservazioni critiche degli osservatori internazionali, comprese quelle del Consiglio d’Europa.


Non si può quindi dire che le elezioni presidenziali russe non abbiano rispettato gli standard fondamentali di democrazie e di libertà di voto ai quali come europei, siamo abituati. Non si può dire che sono mancati gli elementi di una competizione veramente democratica.

Quindi, quest’affermazione significa riconoscere anche il rapido cammino d’avvicinamento della Federazione Russa all’Europa fornendo un nuovo impulso al medesimo cammino.

Si tratta, in sostanza, di una questione cruciale sulla quale il nostro impegno deve essere massimo: la crescente integrazione della Russia nelle istituzioni europee, efficacemente dimostrata dalla partecipazione al Consiglio d’Europa ma non solo, anche nell’ambito dei rapporti con la Nato e l’Unione Europea.

E’ nell’interesse dell’Europa tutta: non c’è vera Europa senza Russia, senza l’apporto culturale, economico e sociale di questo grande paese.

Allo stesso modo non dobbiamo dimenticare che la Russia ha bisogno dell’Europa come la sua plurisecolare storia dimostra in modo esemplare. Si tratta di un cammino comune che abbiamo il preciso dovere di aiutare e di favorire anche noi del Consiglio d’Europa.

Presidente, un’ultima considerazione. Onorevoli colleghi, l’alternativa attuale al modello di democrazia elettorale russa certamente ancora da perfezionare e che abbiamo riscontrato nelle ultime lezioni, è quella della pseudodemocrazia degli oligarchi, che negli anni passati abbiamo già avuto modo di conoscere: una mera apparenza di democrazia la quale riporterebbe la Russia in una situazione di isolamento e di allontanamento dall’Europa.

A tale deriva a mio parere non c’è che un antidoto: svolgere libere elezioni democratiche. Per questa ragione dobbiamo far sentire il nostro appoggio al processo di cambiamento e di modernizzazione della società russa.

Per questo, Presidente, dobbiamo considerare le elezioni presidenziali, pur con alcuni limiti e zone d’ombra, un sostanziale passo in avanti nella direzione di una condivisione di un comune futuro europeo. Grazie.

NESSA

Presidente, Onorevoli colleghi.

E’ mia intenzione attraverso questo breve intervento appoggiare il rapporto presentato dal collega onorevole Iwinski volto alla creazione di un osservatorio o un’agenzia europea per l’emigrazione.

E’ inutile soffermarsi sulle cause,note a chiunque, che conducono alla necessità di un tale tipo di centro. L’immigrazione regolare e irregolare ha raggiunto livelli notevoli soprattutto negli ultimi anni e richiede politiche risolutive volte non all’annullamento del fenomeno, bensì alla regolarizzazione di questo e alla sua tutela come elemento positivo per lo sviluppo dell’umanità.

A tal proposito mi preme soprattutto rilevare che al di là di ogni esito o del raggiungimento di qualsiasi obiettivo non si dovranno mai perdere di vista le preoccupazioni maggiori derivanti dal fenomeno migratorio, ossia la difesa dei diritti umani e della dignità di ogni singolo migrante.

Ritornando adesso al rapporto Iwinski, credo sia necessario porre l’accento su due aspetti che ritengo fondamentali per la riuscita del progetto e sui quali dovrà concentrarsi il nostro impegno.

Mi riferisco alla necessità di dover creare un tipo d’osservatorio non esclusivamente europeo bensì internazionale: un’agenzia che dovrà quindi comprendere non solo gli Stati facenti parte del Consiglio d’Europa ma anche, seppur in qualità di osservatori, riuscire a coinvolgere paesi africani, asiatici e del Medio Oriente. Solo in questo modo ritengo possibile un controllo completo dell’emigrazione perché renderebbe totalmente partecipi i tre protagonisti del processo: i paesi di provenienza, quelli di transito e, infine, quelli d’arrivo.

In tal senso voglio ricordare la raccomandazione 1449 del 2000 intitolata « Migrazione clandestina del sud del Mediterraneo verso l’Europa » attraverso la quale si richiedeva la creazione di un osservatorio permanente per l’emigrazione a sud della Spagna.

Il fenomeno migratorio però, com’ è chiaro ormai a tutti, coinvolge ogni Paese membro e non solo quelli che soprattutto per effetto degli sbarchi clandestini risultano più eclatanti.

Da ciò nasce l’importanza e l’esigenza di creare un osservatorio europeo per l’emigrazione di concerto con il Comitato Europeo per l’Emigrazione e con canali d’informazione come EUROSTAT, CIREA e CIREFI.

Da ciò si rende altresì evidente il bisogno di internazionalizzare il più possibile i nostri progetti. Infine risulta chiara la necessità di operare affinché venga tutelata l’emigrazione regolare e corretta quella irregolare.

Permettetemi di terminare con un’osservazione tecnica mettendo in risalto quelle che a me sembrano le maggiori difficoltà che dovranno essere superate in vista della creazione di un tale osservatorio: in primo luogo la posizione del CEI rispetto al Comitato Europeo per l’Emigrazione, che dovrà essere stabilita chiaramente per evitare percorsi lavorativi paralleli così come le relazioni che necessariamente s’ instaurerebbero con organismi internazionali come lo OIM e l’UNHCR.

In secondo luogo credo meriti risalto la questione del finanziamento dei mezzi lavorativi, delle attività, delle risorse umane e soprattutto della dislocazione geografica sicuramente in più punti dell’osservatorio per evitare che diventi un’entità per lo più virtuale.

Vi ringrazio per l’attenzione dedicata al mio intervento e rinnovo ancora una volta i complimenti all’onorevole Iwinski.

CREMA

Presidente, Onorevoli colleghi.

Desidero congratulare l’onorevole Figel per il suo ottimo lavoro che ha saputo coniugare chiarezza, precisione e rigore alle tematiche di bilancio trattate. Una relazione che però mi ha preoccupato visto che ha messo in rilievo il perdurare sine die di numerosi vincoli di bilancio.

Oggi ho intenzione di lanciare un sincero appello ai nostri governi affinché possano cominciare a riflettere in maniera più approfondita di come sarebbe l’Europa senza il continuo e prezioso lavoro di questo sinedrio internazionale.

Come ben sapete, la storia europea del dopoguerra poggia sulla costante ricerca della pace, della democrazia e del rispetto dei diritti dell’uomo. Compiti che i nostri governi hanno affidato al Consiglio d’Europa che li ha sempre svolti a vantaggio dei suoi Stati Membri.

In una fase mondiale così delicata dove in molte aree europee manca ancora una solida e matura base democratica, mi sembra assurdo privare il Consiglio d’Europa delle risorse necessarie per continuare a porre in essere i suoi programmi d’assistenza e per tutelare i diritti civili, politici e sociali di ben ottocento milioni di cittadini europei.

Questo vuol dire che le spese relative al funzionamento della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo non possono e non debbono essere finanziate detraendo le risorse destinate alle altre attività del Consiglio d’Europa.

Per essere ancora più esplicito, il gruppo socialista è contrario a che il Comitato dei Ministri possa sottrarre fondi e risorse ad altre attività del Consiglio d’Europa per finanziare gli inevitabili incrementi di spese della Corte.

Un altro punto su cui desidero soffermami attiene all’attuale procedura di approvazione del bilancio. L’Assemblea ha già posto un cammino che è contenuto nella sua raccomandazione n° 1344 del 1997. Questa proposta ricalca l’iter parlamentare vigente dell’Unione Europea e si chiama "codecisione". Il Comitato dei Ministri ha già dato una risposta negativa alla nostra proposta ma mi auguro che possa riconsiderarla con maggiore attenzione nei prossimi mesi alla luce anche dell’invito del mio gruppo.

Dopo aver letto la relazione dell’onorevole Figel mi sento come un passeggero di una nave che, dovendo fare economie di gestione, ha dovuto ridurre la sua velocità e il numero di marinai per poter portare a termine il percorso stabilito.

Colleghi, siamo tutti dentro questa nave che è costretta a rivedere puntualmente la sua rotta al fine di poter economizzare sul poco carburante messo a sua disposizione. Le soluzioni a questo problema sono principalmente due: o aumentiamo il carburante messo a disposizione della nave o riduciamo le tappe della sua rotta.

Questa persistente mancanza di carburante è un fattore demotivante e non si capisce bene il motivo per cui si debba ogni anno navigare a vista. Francamente mi riesce molto difficile capire il motivo che induce il Comitato dei Ministri ad infliggere con tanta durezza quest’inedia finanziaria al Consiglio d’Europa che, ricordiamolo, costa ai nostri governi solo 180 milioni di euro ogni anno, una cifra talmente modesta che non sarebbe neppure sufficiente per coprire le spese di traduzione della sola Commissione Europea che, dopo l’ingresso dei dieci nuovi paesi membri, passeranno da 230 milioni di euro a oltre 320 milioni di euro all’anno.

180 milioni euro sono talmente pochi che non basterebbero neanche a coprire i costi relativi alla sede del Parlamento Europeo di Strasburgo che per il solo anno 2003 sono stati di oltre 185 milioni di euro.

Un Consiglio d’Europa che non funziona sarebbe una sconfitta per tutti i governi europei, senza contare il disagio per i numerosi ricorrenti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Sono convinto che le mie modeste riflessioni siano ancora più pregnanti se si considera che il Consiglio d’Europa è in procinto di organizzare il suo terzo vertice di capi di stato di governo che si dovrebbe tenere a Varsavia nel 2005.

Questo vertice dovrà diventare l’occasione per mettere a punto la strategia futura di questa nostra assise. I governi, così mi auguro, dovranno trovare la forza politica per decidere su quali attività concentrare le risorse finanziarie del Consiglio d’Europa che per esempio potrebbe cominciare a sviluppare programmi di assistenza e di consolidamento delle istituzioni politiche e democratiche per paesi quali l’Algeria, la Libia, il Marocco e la Tunisia. Il patrimonio del Consiglio d’Europa deve essere messo a disposizione di tutti quei paesi che hanno interesse a perseguire la pace, la democrazia e la preminenza del diritto.

Concludo ringraziando l’onorevole Figel per il suo ottimo studio e invitando tutti i colleghi presenti a impegnarsi a fondo nelle rispettive capitali affinché le risorse finanziarie del Consiglio d’Europa vengano aumentate in proporzione adeguata ai compiti affidatile. Grazie.

CREMA

Il punto centrale del mio emendamento è molto semplice: salvaguardare l’autonomia politica della nostra Assemblea. Non possiamo permettere al Comitato di bilancio, formato da funzionari nazionali, di valutare politicamente le nostre attività. Solo il Bureau e la nostra Assemblea, che ricordo è un organo statutario del Consiglio d’Europa, sono chiamati a fare le valutazioni politiche dei programmi elaborati ed attuati. Per tanto chiedo a voi colleghi di sostenere il mio emendamento che permetterà alla nostra Assemblea di preservare quella flessibilità decisionale e gestionale che le ha permesso in tutti questi anni di rispondere con successo alle nuove sfide europee. Il sistema di bilancio proposto trasformerebbe la nostra Assemblea in un centro meteorologico, noi non facciamo previsioni politiche, il nostro compito è di dare risposte chiare e concrete ai paesi che hanno bisogno del nostro aiuto.