SESSIONE ORDINARIA 2004

(Seconda parte)

ATTI

della undicesima seduta

Martedí 27 aprile 2004 - ore 15

DISCORSI PRONUNCIATI IN ITALIANO


RIZZI

Presidente, Onorevoli colleghi.

Negli ultimi mesi il tema dell’eutanasia è spesso venuto alla ribalta nel contesto europeo con scelte legislative e sentenze giudiziarie di diverso segno, dalle quali però si fa luce una tendenza alla legalizzazione che infliggerebbe un’ulteriore gravissima ferita ai fondamenti della nostra convivenza civile. Va infatti ricordato che le eventuali richieste di morte da parte di persone gravemente sofferenti sovente costituiscono un’accorata richiesta del paziente per ricevere più attenzione e vicinanza umana, oltre a cure appropriate.

L’impostazione del Rapporto Marty, esprimendosi in senso favorevole alla depenalizzazione dell’eutanasia, si pone in contrasto con la Raccomandazione n. 1418/1999 del Consiglio d’Europa sui diritti dell’uomo e la dignità dei malati terminali e dei morenti,  che rimane un valido momento di sintesi. Il Rapporto non sembra tener conto dei più recenti sviluppi delle pratiche eutanasiche risultanti dalle esperienze in atto in Olanda ed in Belgio - nazioni che da tempo sono dotate di una legislazione specifica in materia-dai quali emerge da un lato che dall’ anno 1995 in poi l’aumento delle domande d’eutanasia si è arrestato; dall’altro, che l’introduzione in Olanda della regolamentazione delle cure palliative ha comportato una decisa diminuzione delle richieste di eutanasia.

Questa evoluzione rafforza la necessità di un tempestivo impegno volto a rendere il più possibile chiaro come l’autentica sollecitudine verso chi soffre a causa di malattie irreversibili non passi attraverso l’eutanasia, bensì si esprima nella vicinanza umana e nelle cure mediche, comprese quelle palliative, senza indulgere all’accanimento terapeutico.

Riguardo a quest’ultimo profilo, la Commissione per le questioni legali e i diritti umani dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa sottolinea che autorizzare i pazienti a chiedere di essere uccisi equivale a fallire l’obiettivo di proteggere la loro dignità e i diritti che ne derivano, soprattutto alla luce della fragilità del desiderio di morire dei pazienti, in presenza di cure palliative efficaci. Va dunque offerto al malato grave ed al morente un itinerario d’assistenza medica, umana e spirituale ispirato alla dignità della persona, al rispetto della vita e dei valori della fraternità e della solidarietà, sollecitando persone ed istituzioni a rispondere con testimonianze concrete alle sfide attuali di una dilagante cultura di morte.

Nel Rapporto Marty vengono poi assimilate diverse fattispecie sotto la definizione di “eutanasia”(punto 9, i), benché questa sia intesa in altra “ qualsiasi atto medico destinato a porre fine alla vita di un malato sotto sua richiesta ripetuta, volontaria e ponderata, al fine di alleviare delle sofferenze intollerabili” (punti 8-10, sezione 2, paragrafo II). Tale assimilazione non tiene conto delle differenze sostanziali tra “trattamento sanitario” e pratica eutanasia, in base alle quali l’eutanasia volontaria attiva ed il suicidio medicalmente assistito non devono essere confusi con l’interruzione di trattamenti sanitari non efficaci o troppo invasivi quando tale interruzione non è praticata avendo come scopo l’accelerazione del decesso del paziente. 

E’ infine opportuno sottolineare che la Commissione per le questioni legali e i diritti dell’uomo dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa propone di eliminare dal Rapporto il punto 9.iv, che suggerisce l’adozione di una legislazione favorevole alla depenalizzazione dell’eutanasia negli Stati membri del Consiglio d’Europa, e di introdurre l’impegno di questi ultimi a rendere conto all’Assemblea Parlamentare dei risultati dei dati raccolti e dei dibattiti pubblici svolti affinché essa esamini la questione( doc. n. 9923, proposte d’ emendamento al Rapporto Marty, emendamento I).

Alla luce delle suesposte considerazioni appare evidente che il tema dell’ eutanasia solleva delicate questioni d’ordine etico, rispetto alla quali, criterio guida di ogni scelta deve essere la tutela dell’inalienabile diritto alla vita di ogni individuo, dal concepimento fino alla sua cessazione naturale. Il primo e fondamentale diritto umano è il diritto alla vita, e il primo dovere di uno Stato è tutelare tale diritto, proteggendo la vita dei suoi cittadini; legalizzare l’eutanasia o il suicidio assistito andrebbe direttamente a violare questo dovere. Si avverte dunque l’esigenza di continuare a difendere le posizioni raggiunte nella citata Raccomandazione  n. 1418/1999 e di respingere fermamente ogni tentativo volto ad introdurre l’eutanasia negli Stati membri del Consiglio d’Europa.

RIGONI

Presidente, Onorevoli colleghi.

La decisione che stiamo per adottare, del rinvio del Rapporto in Commissione, non può che essere apprezzata. Si tratta della migliore dimostrazione che il “metodo parlamentare” di decisione funziona in modo concreto e positivo: un confronto ed una discussione aperta tra opinioni diverse può portare a decisioni partecipate e fornite di una base di legittimazione più ampia di quella originaria.

Nel caso che ci occupa, ci si è resi conto che il tema dell’eutanasia è talmente impegnativo e ricco d’implicazioni etiche, sociali, politiche nel senso più alto del termine, da non poter essere esaurito nei tempi originariamente previsti. Ci si è resi conto, inoltre e soprattutto, che la proposta avanzata dal relatore non rispecchiava effettivamente l’orientamento grandemente prevalente  dei membri dell’Assemblea.

Di qui la soluzione, che va vissuta con assoluta naturalezza, di rinviare la discussione in Commissione per un ulteriore, necessario lavoro istruttorio, per ricominciare da zero, per azzerare il percorso e il contenuto del Rapporto, per immaginare una nuova fase di riflessione.

La decisione che assumiamo oggi è innanzitutto una vittoria dell’Istituzione che ci vede riuniti, del resto che senso avrebbe un’Assemblea Parlamentare se non quello di porre il metodo parlamentare al centro dell’idea che è alla base del Consiglio d’Europa?

Nel merito del tema non posso che confermare, dopo aver riletto più volte il Rapporto Marty, la mia posizione di contrarietà non solo al rapporto vero e proprio quanto e soprattutto alla filosofia che è alla  sua base. Vorrei a questo punto brevemente confutare alcuni assunti della relazione cioè il riconoscimento che il diritto alla vita autorizza il suo contrario cioè concedere la morte a chi lo chiede. Ridurre il valore della vita umana ad un fatto puramente burocratico che si possa barattare la vita di una persona con la sicurezza che sono state adottate procedure rigorose e trasparenti  e di più, che si possa spegnere una vita umana con una, due, magari tre interviste e con magari la sottoscrizione di un bollettino postale o l’invio di una cartolina, non rappresenta l’idea della nostra vita e della società e dovrebbe essere guardato con grande timore.

Il secondo assunto forse ancora più pericoloso è che siccome l’eutanasia esiste, ed è un fatto comune, ormai appurato, per salvaguardare lo stato di diritto è necessario colmare il divario tra la normativa vigente e quanto accade realmente legalizzando la procedura dell’eutanasia cioè la soppressione di una persona e della sua dignità, in sostanza si può piegare lo stato di diritto all’esigenze di una parte.

Credo fermamente ci sono le ragioni, e resto convinto di queste, che è necessario fermarsi alle conclusioni fatte proprie dal Consiglio d’Europa nella Raccomandazione n. 1418 del 1999 che assicura la salvaguardia della dignità degli esseri umani e dei diritti che da tale dignità scaturiscono, riconoscendo che il desiderio di morire espresso da un malato terminale o da un morente non può costituire una giustificazione legale per azioni destinate a provocarne il decesso. Solo su queste basi siamo disponibili a confrontarci in Commissione in un dialogo, lo r ripeto ancora, aperto, franco ma soprattutto un dibattito e un confronto  leale. Grazie.

TIRELLI

Cari colleghi.

La vivacità del dibattito in Commissione ma anche in quest’aula, ci fa rendere conto che probabilmente quest’Assemblea oggi non è in grado di prendere una decisione serena su quest’argomento. Un argomento complesso che rende difficile prendere decisioni soprattutto per quanto riguarda aspetti fondamentali della vita umana, quali sono i diritti fondamentali e garantiti come il diritto alla vita.

A questo proposito però, l’ha già citato il mio collega Rigoni, vorrei portare il dibattito nel suo ambito. Non si sta parlando della decisione o della possibilità di decisione di una persona in difficoltà estrema a scegliere della propria vita e a rinunciare alla propria vita.

Parliamo di dare una tutela pubblica ad un diritto che non è un diritto: il diritto di togliere la vita a qualcun altro. Qui si sta parlando di togliere la penalizzazione a chi uccide un altro essere umano. Per questo il mio discorso sarebbe già concluso. Già questo sarebbe sufficiente per far dire che la decisione dovrebbe ritornare ad essere presa con motivazioni diverse che richiedono un cammino diverso.

La relazione Marty non è stata però inutile. Essa ci ha posto davanti a dei problemi. Certo, alcuni sono rimasti totalmente irrisolti: chi stabilisce della capacità di intendere e di volere di una persona? Chi stabilisce il percorso che deve seguire un disabile mentale? Chi stabilisce il diritto di un bambino a scegliere sulla propria vita?

S’è un diritto questa rinuncia alla vita, lo vogliamo togliere anche a persone che non sono in grado di prendere queste decisioni?

La relazione Marty c’invita, anche se parzialmente, ad un’altra valutazione: investire non solo nella ricerca scientifica ma investire anche in progetti di supporto psicologico alle famiglie e ai pazienti e, soprattutto, direi che dobbiamo investire nella condivisione di progetti da parte dei paesi membri. Il problema va affrontato ma va affrontato secondo il criterio delle competenze degli Stati.

Non entriamo nel rapporto fra il sofferente e se stesso e la sua disperazione. Non imbocchiamo una strada della quale vediamo l’inizio ma non vediamo la  fine. E a  proposito termino con una valutazione sul rapporto dell’autorevole rivista Lancet che ho letto molte volte da medico.

Onorevole Marty, non è con i dati e con i grafici che si valuta l’importanza di decisioni che sono prese all’interno dei nostri Stati membri. Questi dati non ci dicono nulla della disperazione delle famiglie, non ci dicono nulla dei rimorsi che possono aver provato i medici e i familiari dei pazienti che hanno condiviso questa decisione. Lasciamo questa decisione nella sfera individuale. Non è ipocrisia, onorevole Marty. E’ semplicemente un lasciare che qualcuno prenda delle decisioni e ne risponda secondo la propria legge e ne risponda soprattutto alla propria coscienza. Grazie.

TURCO

Voglio ringraziarvi per l’invito che mi avete rivolto a intervenire in quanto relatore del Parlamento Europeo sui diritti dei detenuti nell’Unione Europea, ad intervenire in occasione del vostro dibattito sul rapporto sulla situazione delle prigioni in Europa.

Permettetemi innanzitutto di spendere alcune parole al fine di sottolineare l’importanza di stabilire un rapporto di cooperazione più strutturato, organico e sistematico tra Unione Europea e Consiglio d’Europa e in particolare tra Parlamento e Assemblea Parlamentare.

L’iniziativa che voi avete preso è la prima di questo genere e ha permesso di stabilire un dialogo tra le nostre istituzioni. E’ un’esperienza a mio avviso importante, inizialmente nata dalla buona volontà del vostro relatore onorevole Hunault che spero possa proseguire prevedendo che anche il Parlamento Europeo possa ospitare e ascoltare i relatori di quest’Assemblea in occasione di dibattiti su temi di comune interesse.

Entrando nel merito delle preoccupanti condizioni dei penitenziari in Europa, dettagliatamente certificate dal vostro Comitato di Prevenzione dell tortura e sanzionate dalla vostra Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, va sottolineato che non mancano di certo i principi e le regole minime sia a livello di Nazioni Unite che di istituzioni europee e di legislazioni nazionali.

E’ quindi necessario che gli Stati assicurino l’applicazione innanzitutto di ciò che esiste, ovvero la convenzione europea sui diritti dell’uomo, la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo nonché l’applicazione del protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite sulla tortura. E tra quanto esiste vi sono anche le leggi nazionali.

A nostro avviso il principio di legalità, il rispetto del principio di legalità è e deve essere una priorità concreta, non solo sul fronte del rispetto dei diritti dei detenuti e non solo a  livello nazionale.

La seconda urgenza a nostro avviso è quella di trasformare l’importantissimo bagaglio di soft law accumulato a livello internazionale ed europeo in tema di diritto dei detenuti in legge vera  e propria, vincolante, obbligatoria e giudicabile su ricorso individuale davanti alle corti nazionali e internazionali, con possibilità di sanzionare e risarcire le violazioni.

Questo è l’obiettivo che il Parlamento Europeo ha espresso ed è l’obiettivo contenuto nella relazione del vostro collega Hunault che si concretizza nella proposta di elaborare una Carta penitenziaria europea.

Il Parlamento Europeo, dopo un’attenta valutazione, ha ritenuto che il Consiglio d’Europa sia in una posizione migliore dell’Unione Europea per elaborare tale carta per ragioni di tipo giuridico e di riconosciuta esperienza ed efficacia in materia.

La relazione del Parlamento Europeo affronta inoltre i problemi del mondo carcerario sui quali attiro la vostra attenzione. Innanzitutto i regimi speciali di incarcerazione di fatto o di diritto, sui quali il Parlamento Europeo condivide i dubbi espressi dal Comitato di  Prevenzione della tortura e condannati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, in particolare sul regime italiano detto del 41bis.

Il Parlamento Europeo chiede inoltre che i deputati europei e nazionali possano visitare ed ispezionare le prigioni così come già accade in diversi paesi.

Per terminare, voglio ringraziare in modo particolare il collega Hunault con il quale in questi mesi ho lavorato con un risultato a mio avviso molto positivo: non a caso quasi l’unanimità dei deputati europei ha approvato il mio rapporto e vi chiede di sostenere il rapporto che tra poco voterete.

Mi auguro che questa nostra prima occasione di lavoro comune possa essere istituzionalizzata e che l’Unione Europea possa sostenere più e meglio il vostro lavoro, sia politicamente che finanziariamente. Questo ultimo sostegno è a mio parere un passo indispensabile per una difesa ancora più efficace dei diritti fondamentali dei cittadini dei nostri paesi.

Grazie Presidente.

de ZULUETA

Vorrei esprimere un convinto sostegno all’iniziativa inclusa in questo rapporto e in particolare alla proposta di una Carta penitenziaria europea e anche di una nuova convenzione. Lo considero anche un modello davvero importante di collaborazione fra il Consiglio d’Europa e il Parlamento Europeo in particolare e spero, possa essere seguito da altri esempi.

Il relatore si sofferma giustamente nella sua relazione sulle profonde differenze nelle condizioni di detenzione nei Paesi membri del Consiglio d’Europa, differenze che invece di diminuire sono forse addirittura aumentate negli ultimi anni.

La raccomandazione sulla quale saremo chiamati a votare sottolinea l’importanza di uno dei strumenti di monitoraggio più efficaci messi in moto dal Consiglio d’Europa: la Convenzione europea per la prevenzione della tortura e il Comitato di Prevenzione della Tortura, CPT a cui ha dato luogo.

Le ispezioni nei luoghi di detenzione europei messe in atto dal Comitato sono diventate infatti un modello. Il nuovo protocollo aggiuntivo alla Convenzione contro la tortura delle Nazioni Unite prevede infatti un meccanismo di monitoraggio molto simile a quello della Convenzione Europea.

Spero anch’io in una rapida ratifica del protocollo da parte di tutti i paesi membri dell’Assemblea a conferma del merito e dell’importanza di un meccanismo di monitoraggio sulla base di criteri condivisi.

Per quanto riguarda la proposta di Carta, mi soffermerò in particolare su due questioni: la prima riguarda le condizioni di detenzione delle donne. Mi chiedo, Signor relatore, se sono sufficienti le Sue giuste preoccupazioni per un’assistenza sanitaria specializzata e anche quella di garantire la possibilità alle madri di bambini giovani, cioè al di sotto i tre anni, di poter essere insieme ai loro figli? Credo che dobbiamo pensarci e dotarci di strumenti di valutazione dell’idoneità dei luoghi di detenzione in cui dovranno crescere questi giovani bambini.

La seconda osservazione riguarda una nuova categoria di luoghi di privazione di libertà che si stanno moltiplicando in Europa: i centri di detenzione per stranieri trattenuti il più delle volte in attesa di espulsione, ma non persone condannate per reati, luoghi che sono già oggetto dell’ispezione del CPT.

Il relatore considera questi centri offensivi e ne raccomanda il rapido superamento. Condivido. Purtroppo, invece, il loro numero sta crescendo in molti paesi europei come il mio, l’Italia e, invece di accorciarsi, la durata della detenzione cosiddetta amministrativa si sta allungando. In Italia è passata da venti a sessanta giorni mentre i contatti permessi con il mondo esterno sono stati drasticamente ridotti.

In questa situazione il gruppo di parlamentari di cui faccio parte si è costituito il promotore di un’iniziativa di monitoraggio a livello nazionale con l’ausilio d’organizzazioni non governative e approfittando del diritto d’accesso che la legge in Italia ci garantisce e che anch’io mi auspico di vedere esteso a tutti i paesi europei.

I primi risultati della nostra azione ispettiva segnalano l’urgenza di regole e meccanismi di ispezione che per ora in Italia mancano. Abbiamo raccolto denuncie chiare e circostanziate ma molto preoccupanti sull’uso diffuso e non controllato di barbiturici in questi centri, sulla separazione delle famiglie, sul diniego d’accesso alle procedure d’asilo e su gravi carenze come l’assenza di informazioni e di interpreti. E’ in particolare in questi nuovi luoghi di detenzione che urge la piena attuazione di una carta europea a tutela delle persone private della libertà.

Intanto raccomando anche a colleghi d’altri paesi di avvalersi del diritto d’accesso anche per verificare in questi luoghi le condizioni reali dei detenuti. Si tratta di una realtà tutt’altro che marginale: in Italia in un anno sono transitate diciassettemila persone nei centri di permanenza temporanea. Grazie.