SESSIONE ORDINARIA 2005

(Terza parte)

ATTI

della diciassettesima seduta
Lunedì 20 giugno 2005-ore 15

DISCORSI PRONUNCIATI IN ITALIANO


GUBERT

Onorevole presidente, onorevoli colleghi, è assai positivo che l’Assemblea che rappresenta i parlamenti di quarantasei  Stati d’Europa richiami i governi a mantenere gli impegni assunti in sede di organizzazione delle nazioni Unite, nel 2001, per ridurre la povertà nel mondo.

Ha fatto scalpore come, tre giorni fa, siano stati i paesi meni ricchi dell’Unione europea a proporre una riduzione dei trasferimenti loro favore nel tentativo di indurre i più ricchi a pervenire ad un accordo sul bilancio dell’Unione. Ma fa ancora più scalpore che i paesi ricchi del mondo non siano in grado di dare nel 2006 lo 0,4%, per giungere poi allo 0,7% del loro prodotto interno lordo per perseguire gli “obiettivi del Millennio” per il 2015 condivisi in sede ONU. Tra di essi vorrei richiamare la riduzione a metà delle persone che soffrono la fame, la riduzione di due terzi della mortalità infantile, la riduzione di 100 milioni del numero di persone che vivono in condizioni abitative-ambientali inaccettabili, senz’acqua potabile e senza servizi sanitari.

Siamo così sicuri che agiamo per il bene comune non solo dei popoli poveri, ma anche degli stessi popoli europei, specie di quelli ricchi, se incoraggiamo i consumi fino allo spreco, non dando ai popoli poveri nemmeno il superfluo? Quanti vestiti gettiamo prima che siano consumati? Quanto cibo gettiamo nella spazzatura? Di quante malattie soffriamo per l’ipernutrizione? Quanta energia sprechiamo per illuminare le notti, per iper-riscaldare o per iper-refrigerare i nostri ambienti di vita, per trasportare merci da un capo all’altro del mondo solo perché il costo del carburante non tiene conto dell’effetto serra?

Non sarebbe una crescita dell’umanità nostra saper rinunciare a superfluo? Eppure siamo chiusi nel nostro egoismo, diamo le briciole ai poveri, come il ricco Epulone faceva con Lazzaro nella parabola evangelica. Oppure ci inventiamo ricette, quale quella della liberalizzazione dei mercati, che , anziché dare ad ogni popolo la possibilità di svilupparsi secondo gli obiettivi che vuole darsi, consacra la divisione territoriale del lavoro sulla base dei costi di produzione presenti in un dato momento storico, senza tenere conto dei diversi tempi nei quali ha avuto e ha luogo lo sviluppo economico nelle diverse società. Il rapporto dell’onorevole Jonas, pur assai positivo per molti aspetti, risulta al riguardo insufficientemente critico. Quello dell’onorevole Dupraz considera meglio gli elementi per dare sostenibilità culturale, sociale e ambientale allo sviluppo.

Merita richiamare l’invito a valorizzare la biodiversità, la multifunzionalità dell’agricoltura anziché la specializzazione monoculturale che conseguirebbe dall’applicazione dei principi del libero mercato con una divisione territoriale del lavoro che rispecchi i vantaggi comparativi.

Certamente saranno riviste le regole del commercio internazionale, nei negoziati del ciclo di Doha, ma in direzione del riconoscimento degli effetti non economici dell’agricoltura, compresi quelli sull’ambiente.

In tale contesto, può essere contraddittoria la proposta, contenuta nel rapporto Jonas, di ridurre le sovvenzioni all’agricoltura a prescindere dalle funzioni multiple che essa esercita, sia nei paesi europei che nei paesi meno sviluppati di Asia, Africa e America Latina.

Il liberismo applicato dogmaticamente non è una buona ricetta neppure per l’industria, come dimostrano le difficoltà che si registrano dopo la liberalizzazione dei commerci con il Cina. Tanto meno esso è una buona ricetta nell’agricoltura le cui funzioni sono assai meno riducibili alla produzione di beni per il mercato, di quelli dell’industria.

Ciò notato, nell’insieme, i rapporti all’esame richiamano i paesi ricchi ad essere seri, a mantenere gli impegni assunti a favore dei paesi poveri. E’ necessario, è positivo. La nostra Assemblea deve approvarli e sostenerli. Signor presidente, approvandoli facciamo un favore anche a noi stessi. Grazie.