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AS (2006) CR21 |
Versione provvisoria |
SESSIONE ORDINARIA 2006
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Terza parte
ATTI
della ventunesima seduta
Giovedì 29 giugno 2006-ore 10
DISCORSI PRONUNCIATI IN ITALIANO
GUBERT
Onorevole Presidente, onorevoli Colleghi, la lettura della relazione accompagnatoria alla proposta di risoluzione mette in evidenza in modo chiaro come dopo una quindicina di anni dalla dichiarazione di indipendenza della Bosnia Erzegovina, dopo undici anni dagli accordi di Dayton che chiudevano un conflitto sanguinoso interno, lo Stato bosniaco sia una costruzione per gran parte artificiale o più esattamente debolissima, come la vogliono le entità delle quali lo Stato è costituito. E’ fallito pure il tentativo di rafforzarlo lievemente con una riforma della costituzione che non ha ottenuto i voti necessari.
Mi chiedo per quali ragioni il Consiglio d’Europa debba pronunciarsi sul modo così dettagliato nel quale i popoli di Europa si organizzano politicamente, per quali ragioni il diritto d’autodeterminazione sia misconosciuto e per quali ragioni esso debba dire quali poteri dei popoli che si uniscono in uno stato federale debbano essere dati alla confederazione anziché essere mantenuti nelle entità autonome. Per quali ragioni esso faccia prevalere a livello confederale un sistema di decisione politica che privilegia la rappresentanza politica individuale anziché quella delle entità autonome federate. Per quale ragione l’arresto di due accusati di crimini di guerra sia considerato - leggo letteralmente - “condizione preliminare” ad ogni evoluzione democratica prima di appurare responsabilità dirette delle autorità per i mancati arresti.
Molti paesi europei, fra i quali l’Italia, hanno impegnato e impegnano risorse umane ed economiche per mantenere la pace. Sono, certo, interessati a che i popoli della Bosnia Erzegovina trovino un modo di vivere in pace e di crescere economicamente, ma debbono anche rispettare la volontà di quei popoli di convivere in uno Stato le cui decisioni prevedono l’accordo di ciascun popolo. Debbono anche rispettare la volontà di un popolo di divenire indipendente. Si è detto che ciò che vale per il Montenegro non vale per la Repubblica Serba della Bosnia Erzegovina.
Certamente si tratta di due situazioni diverse dal punto di vista delle norme costituzionali vigenti, ma il Consiglio d’Europa dovrebbe sapere che vi sono momenti nei quali le condizioni vengono create o cambiano, che un’entità politica abbia diritto all’autodeterminazione perché in precedenza essa era parte autonoma di uno Stato federale, la Jugoslavia, mentre un’altra entità politica autonoma, priva di tale status, non abbia reale diritto, non è una conclusione scontata.
Non dobbiamo sacralizzare un prodotto della storia fino a far misconoscere il diritto dei popoli all’autodeterminazione. Perché allora, per il Kossovo, si aprono negoziati per stabilirne lo status futuro? Anch'esso appartiene ad uno Stato, anch'esso non era una repubblica federata in Jugoslavia. Due pesi e due misure: da una parte vi è fra le possibilità, l’indipendenza, per il Kossovo, dall’altra no.
Ritengo che in un’Europa unita il diritto all’autodeterminazione dei popoli debba essere considerato con minori preclusioni che in passato, minore essendo la portata dello Stato. Il Consiglio d’Europa dovrebbe approfondire la questione dal punto di vista dei diritti dell’uomo, considerato non solo come individuo isolato ma come membro di una o più comunità. L’uomo cresce e sviluppa la sua personalità in comunità e se lo si riduce alla sola dimensione individuale, se ne misconosce una dimensione essenziale, con conseguenze negative anche per la singola persona. Nel medesimo tempo, nessuna configurazione delle comunità politiche prodotte dalla storia va sacralizzata. Essa deve essere espressione, sempre, delle comunità sociali e culturali, strumento di decisione politica che la riguarda. Grazie, signor Presidente.