IT09CR13       AS (2009) CR 13

Versione provvisoria

SESSIONE ORDINARIA 2009

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(Seconda parte)

ATTI

della tredicesima seduta

Martedì 28 Aprile 2009, ore 15.00

DISCORSI PRONUNCIATI IN ITALIANO

FARINA ( Doc. 11701)

Signor Presidente, signori colleghi, ho apprezzato molto la relazione che è stata presentata e anche l’intervento da parte dei relatori che ha accompagnato questo documento. In particolare mi piace sottolineare quello che ha già rimarcato il collega Gross quando ha detto che sono state le pacifiche manifestazioni dei cittadini di Belgrado e dei cittadini serbi, ad allontanare dal potere Milosevic e non la guerra del 1999. Questo è molto importante nello sguardo che dobbiamo avere sulla Serbia.

Ritengo, essendone stato testimone, che quella guerra del 1999 fu in gran parte motivata da informazioni false o esagerate e che i bombardamenti su Belgrado, come recentemente ha ammesso il Premier italiano del tempo, Massimo d’Alema, furono un errore e dunque quei morti pesano anche sulla coscienza di chi ha partecipato a quegli eventi bellici e sulla coscienza di chi a Rambouillet nel 1999, ha offerto informazioni false o addirittura menzogne.

Su questo sarebnbe importante conoscere, capire e approfondire e non dare per scontato che siccome i vincitori fanno la storia, i vincitori dicano la verità.

Questo va riconosciuto ai Serbi e va riconosciuta ai Serbi la dignità con cui hanno accettato anche quelle che loro avvertono come ingiustizie senza usare in nessun modo le armi ed anzi, accettando un processo di avvicinamento a quei paesi che pure l’avevano colpita e a loro avviso, ingiustamente. Dunque questo documento, questa risoluzione io la ritengo estremamente positiva e ritengo che addirittura vada in qualche modo enfatizzata questa positività del giudizio sull’attuale stato della democrazia in Serbia.

Tutto questo ci porta anche ad esaminare come la situazione internazionale sia stata di fatto influenzata negativamente, proprio riguardo alla pace, dalla troppo rapida e forse non sufficientemente meditata accoglienza internazionale alla proclamata indipendenza del Kossovo. Pur essendo giusto e sanzionato positivamente il diritto all’autodeterminazione dei popoli, non è possibile che questa autodeterminazione venga a corrompere e venga a offendere delle minoranze che non si sentono adeguatamente tutelate. E’ un fatto che questa autodeterminazione è maturata in questi anni nella oppressione anche alla minoranza serba.

Sappiamo bene che la presenza di militari su quel territorio è dovuta ormai essenzialmente alla difesa che si deve fare di queste minoranze serbe e ringrazio il popolo serbo di aver tollerato anche l’offesa che è stata fatta nella Metochia che è la regione occidentale del Kossovo, a quelli che sono i luoghi simbolici della sorgente della sua identità patria. Con questo dunque, invitando a considerare tutti i popoli in modo paritario senza pensare che ce ne siano alcuni che hanno dei debiti con la storia e altri che abbiano solo dei crediti. Perché esistono i diritti delle persone adesso e queste persone hanno anche diritto alla verità. Concludo dicendo che ciò non vuol dire in nessun modo assolvere o diventare relativisti rispetto ai delitti e ai crimini commessi da questa o quella autorità serba ma ciò non deve indurre a criminalizzare questo popolo. Grazie.

BADEA (Doc.11701)

Colleghi, prima di tutto volevo congratularmi con gli autori di questo rapporto e nel contempo mi volevo congratulare con i nostri colleghi della Serbia per il nuovo cammino che si sta riprenendo da questo paese europeo.Nonostante questo e come ha già detto il mio collega, voglio fare un piccolo intervento per quanto riguarda la minoranza rumena della Serbia perché così come penso già sapete, è stato fatto un altro rapporto dall’onorevole Hermann. In Serbia ci sono ancora due paesi per quanto riguarda la minoranza romena che ci vive.

Il mio intervento fa riferimento alla problematica dei diritti della minoranza romena, la cosiddetta Valacca, in Serbia. Per vostra conoscenza, i Romeni in Serbia vivono in due spazi: al nord del Danubio, nella provincia di Vojivodina, e a sud del Danubio, nella Serbia orientale. Nonostante ciò, in ambedue gli spazi i romeni usano una unica lingua madre, la lingua rumena.

Che cosa manca, alla minoranza romena della Serbia orientale per essere e per sentirci una minoranza europea rispettata? Sono due documenti essenziali che ce lo discono e si tratta delle due raccomandazioni 1632 e 1845 dell’APCE.

Su questo tengo a sottolineare un aspetto fondamentale della corrispondente raccomandazione. All’articolo 21 viene menzionato che l’APCE è cosciente delle preoccupazioni espresse dalla Commissione per la democrazia tramite diritto, cioè la Commissione di Venezia, sulla legge del 2006 riguardante le chiese e le organizzazioni religiose della Repubblica serba e si associa alla raccomandazione della stessa tramite la quale richiede una definizione più chiara dello statuto, del diritto canonico e delle decisioni delle autorità della chiesa.

Dall’altro lato, l’Assemblea chiede insistentemente alle autorità serbe di collaborare allo stesso modo con la chiesa ortodossa serba e con la chiesa ortodossa romena per trovare una soluzione pratica in maniera da rendere effettiva la libertà della religione nell’est del paese, così come già succede in Vojivodina.

Questo mio intervento fa riferimento ai diritti religiosi dei romeni del nord-est della Serbia, la regione compresa fra i fiumi Moravia, Timoc e il Danubio, cioè alla situazione del Protopopiato Ortodosso Romeno Dacia Ripensis. Questa istituzione continua ad essere un soggetto diciamo poco piacevole, per essere eufemistici, per l’autorità serba e se voi conoscete un episodio dell’8 marzo 2008 cioè della fondazione della Chiesa dei Romeni di Malainita che è stata eretta in quel periodo. In base ad una decisione del Municipio di Negotin, al quale è attinente il villaggio di Malainita, sono stati interrotti i lavori chiedendo la demolizione delle fondamenta entro quindici giorni.

E’ mia opinione che è condannabile che i romeni ortodossi della Serbia orientale incontrino tali problemi nel ventunesimo secolo. Nelle condizioni in cui la minoranza serba di Romania gode naturalmente di diritti e di privilegi ai più alti standard europei, i romeni della Serbia orientale si confrontano ancora con dei problemi che appartengono alle mentalità medievali: specificità di uno stato teocratico, non a uno stato laico moderno democratico in cui la separazione tra lo stato e la chiesa esiste e funziona. Ecco perché considero che si richiede ancora l’attenzione della nostra organizzazone solo su quanto riguarda i diritti delle minoranze nazionali serbe nazionali.Vi ringrazio moltissimo e congratulazioni per il rapporto.

BERGAMINI ( Doc. 11873)

Signor Presidente, cari colleghi, voglio innanzitutto complimentarmi con la Collega Papadopoulos per il lavoro svolto e per la chiarezza della sua relazione. Emerge dal documento presentato una fortissima volontà politica ed è a questa che voglio fare riferimento. La volontà politica di affrontare in modo sistematico e completo un tema, una ricaduta, forse della quale si parla troppo poco quando si parla di problemi legati ai flussi migratori. Anche la stampa ne parla troppo poco. Mi riferisco appunto – e lo hanno detto prima i colleghi che mi hanno preceduto – per quanto riguarda i matrimoni forzati o addirittura quelli che io vorrei chiamare rapimenti veri e propri di giovani donne che vengono ricondotte contro la loro volontà nei paesi di origine.

Credo che da questo documento emerga fortemente la necessità, come sempre avviene quando si devono affrontare temi legati all’emigrazione, la necessità di una fortissima concertazione politica. I governi nazionali non hanno gli strumenti sufficienti da soli a poter combattere con efficacia questi fenomeni. Occorre dunque, lo ripeto, una forte concertazione con gli organismi sovranazionali, con gli organismi non governativi e anche se mi consentite, una piccola pedagogia personale. Perché molto spesso casi come quelli che sono elencati nel rapporto avvengono vicino alla porta di casa nostra.

Troppo spesso ancora oggi assistiamo a violazioni inaccettabili dei diritti fondamentali dell’essere umano che nascono all’ombra di tradizioni culturali comunitarie, familiari che non devono mai essere oggetto di relativismo, e tanto meno di pulsioni lassistitiche, ma devono essere affrontate con fermezza, con decisione. Queste ragazze hanno bisogno di essere protette, non di essere l’oggetto di forme culturali che vedono in loro delle funzioni prima ancora che delle persone. E allora su questo ci vuole grande attenzione anche perché in questo caso si tratta di violenze doppie: perché a tradire sono degli estranei ma i familiari, cioè i punti di riferimento di quelle persone.

Voglio raccogliere da questo documento un incoraggiamento se me lo consente il Presidente, in quanto nuovo Presidente del centro Nord-Sud – ho assunto l’incarico poco più di tre settimane fa e come prima donna presidente di questa importante istituzione del Consiglio d’Europa - e quindi voglio raccogliere l’incoraggiamento che viene da questo documento con grande decisione. Il Centro nord-sud è sempre stato molto attivo nelle attività di dialogo interculturale, di sviluppo del dialogo fra le comunità da cui si originano i flussi migratori e le comunità verso cui i flussi migratori sono orientati, si dirigono.

Non più tardi di venticinque giorni fa abbiamo dedicato un seminario proprio all’argomento delle donne come agenti del cambiamento nell’area del Mediterraneo con conclusioni che sono perfettamente coerenti con il rapporto della collega Papadopoulos. Andremo avanti su questa strada insieme e questo documento naturalmente ci rafforza nella spinta a lavorare affinché le donne ovunque su questo globo vengano considerate delle persone e non delle funzioni. Grazie.

VOLONTE’ (Doc. 11784)

Onorevole Presidente, anch’io voglio ringraziare la nostra relatrice Papadopoulos e anche il suo correlatore, l’onorevole Hancock per il lavoro che hanno svolto su questo rapporto e che trovo straordinario per molti aspetti. E anche qui mi piace sottolineare il fatto che stiamo discutendo approvando questo rapporto, purtroppo in un’aula non piena ma felicemente nella circostanza del sessantesimo anniversario della nostra fondazione.

Ha detto bene il rappresentante a nome del PPE, l’onorevole Kovacs, ha ricordato con intelligenza i diritti della donna, le lotte alla violenza, i matrimoni forzati, il traffico dei bambini, le violazioni del corpo dei bambini attraverso la mutilazione genitali. Provvedimenti in questa direzione sono stati presi per esempio nel nostro paese in pieno accordo by partisan come si dice tra tutte le formazioni politiche presenti nelle scorse legislature.

Sembra importante sottolineare come questo rapporto chiede specificamente un gesto di responsabilità agli stati e ai governi per prevenire e combattere queste pratiche. Non è solo un’analisi, un invito generico, è un’azione concreta che si chiede a ciascuno di noi nei nostri parlamenti ma anche e soprattutto ai nostri governi al proprio interno ma anche a livello internazionale. La cooperazione che viene qui richiamata nella premessa di sommario di questo rapporto è importantissima: la cooperazione tra le autorità e i paesi di origine e i paesi in cui ci sono queste comunità di immigrati deve essere uno strumento fondamentale anche dello stesso Consiglio d’Europa nei confronti dei paesi terzi.

Mi sembra che in questa circostanza, l’ha messo bene nel rapporto l’onorevole Papadopoulos, si arrivi ad identificare uno dei paradossi degli amanti del relativismo: se fossimo davvero tutti relativisti, dovremmo chiudere gli occhi. Il Consiglio d’Europa decide con giusta intelligenza di intervenire perché non si può chiudere gli occhi quando un principio che viene messo in evidenza va a violare la cosa più importante che abbiamo: non solo i diritti alla persona ma addirittura le persone attraverso una violenza diretta o addirittura l’omicidio.

Molti casi sono avvenuti anche in Italia, altri casi sono stati citati di altri paesi, ricordo solo il caso più eclatante di due anni fa: Ina, una ragazza di origine pakistana e di religione musulmana uccisa dai propri genitori perché era fidanzata con un italiano. E qualche settimana fa, un’altra ragazza è stata uccisa dal proprio clan familiare perché voleva portare a termine la gravidanza del suo partner. Tutti gesti davanti ai quali e per i quali vogliamo impegnare i nostri governi, vogliamo impegnare il Consiglio d’Europa al di là proprio del principio delle comunità e del relativismo.

Mi sembra molto importante sottolineare, prima di concludere, altri due aspetti: il primo, i paragrafi 7.2 e 7.4 del rapporto nel quale si mette giustamente in relazione il potere pubblico statale e le organizzazioni non profit, le ONG, gli enti di carità, cioè tutte quelle associazioni che dentro alla società e insieme allo Stato possono contribuuire a creare una promozione e una cultura nuova dei diritti ma anche della vigilanza affinché questi diritti diventino esigibili e non solo scritti sulla carta.

Il controllo del territorio è un controllo che si fa o preventivamente o non si può fare: nessuno di noi può pensare di avere tanti militari nel proprio paese da mandare in tutte le famliglie. Se non c’è un contesto sociale e culturale che aiuta queste famiglie e queste persone a riscattarsi e a far valere i propri diritti, diventerà dificile mantenerli. In questo senso io penso che sia assolutamente indispensabile votare questo rapporto e introdurre un nuovo femminismo che non abbia nemmeno il pudore di tacere davanti alle comunità religiose, dinanzi alle quali troppo spesso per politically correct non diciamo niente. C’è bisogno di dire qualcosa perché è indispensabile difendere tutte le donne, anche le donne di religioni diverse da quella cristiana. Grazie.

GALATI (Doc.11784)

Cari colleghi, le donne non sono, come spesso recita una nota massima “l’altra metà del cielo..“ . Noi pensiamo che siano l’intero cielo. Per questo ringraziamo il relatore Papadopoulos e al suo correlatore Hancock perché con questa relazione e soprattutto con l’assunzione di una posizione contro un certo relativismo culturale dicono bene di quello che deve continuare ad essere un forte impegno per il raggiungimento dei diritti e della dignità degli uomini e delle donne. Vi è stata la proclamazione della Dichiarazione universale die diritti dell’uomo che afferma chiaramente che tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti e senza distinzione alcuna, per ragioni di sesso.

Eppure siamo qui a parlare di terribili fenomeni come le mutilazioni genitali. Questa uguaglianza deve rimanere un diritto fondamentale a cui dobbiamo tendere. Per essere pienamente compiuto, il diritto non deve essere solo riconsciuto per legge, ma deve essere effettivamente esercitato e riguardare tutti gli aspetti della vita: politico, economico, sociale e culturale.

Questa parità fra donne e uomini nella vita quotidiana non è ancora una realtà. Persistono disparità politiche, economiche e culturali. Queste disparità sono prassi consolidate che derivano da numerosi stereotipi presenti nella famiglia, nell’educazione, nella cultura, nell’organizzazione complessiva della società. Tutti ambiti nei quali è possibile agire adottando un approccio nuovo e operando cambiamenti strutturali.

Penso ad esempio alle violenze sessuali, perpetrate in tute le forme ai danni delle donne. I dati disponibili a livello mondiale dicono che almeno una donna su tre è stata picchiata, costretta ad avere rapporti sessuali o a subire abusi di altro genere, nella maggioranza dei casi da parte del partner o di un membro della famiglia. Diventa difficile parlare di violazione dei diritti del sesso, sul sesso che dona la vita e che produce amore in senso lato.

Dobbiamo ripartire dala dichiarazione della Conferenza mondiale sui diritti umani tenutasi a Vienna nel 1993, che costituisce la cornice teorico-giuridica e il termine ante-quem del riconscimento dei diritti delle donne quali diritti umani. Bene lo mostra la relazione, è la volontà di adottare una politica europea sul tema della parità dei diritti e dell’uguaglianza delle donne ma anche del raggiungimento di alcuni obiettivi. In questo senso il coinvolgimento di tutti i soggetti della vita politica, sociale e delle organizzazioni affinché integrino completamente la dimensione di genere nelle proprie politiche, nella propria organizzazione e nelle relative procedure.

Molto è stato fatto, ma molto rimane ancora da fare. L’adozione di orientamenti sulle violenze contro le donne dimostra la chiara volontà politica dell’Unione europea di conferire carattere prioritario al tema dei diritti delle donne e di iscriverene l’azione in una prospettiva di lungo periodo. A mio avviso, nel mondo di oggi, una effettiva parità tra donne e uomini rappresenta inoltre la chiave del successo economico e sociale, non soltanto a livello locale, nelle nostre regioni, ma anche e soprattutto a livello europeo o nazionale. Credo che il nostro voto favorevole sia il primo atto di questa volontà. Grazie.

VOLONTE’ ( Emendamento 6 al Doc. 11784)

Come ho detto nel mio intervento sulla discussione generale, questo è il caso specifico. Può capitare, come è già successo purtroppo, che si forzino le donne ad abortire, continuando quelle violenze di cui si parla in gran parte delle risoluzione precedente. Ritengo sia complementare alle reali intenzioni che esistono nel rapporto. Grazie.

VOLONTE’ ( Doc. 11619)

Presidente e onorevoli colleghi, voglio ringraziare i nostri relatori per questo imortante documento sulle donne in prigione, sulle virtù e sulle opere che dobbiamo mettere in atto nei nostri paesi per affrontare con specificità questo argomento. In tanto il dato di partenza di questa risoluzione, l’ha datto il presidente McCafferty, è l’ impressionante aumento complessivo delle donne in prigione in Europa. Sta crescendo, lo dice il rapporto, anche per ragioni culturali. Come sappiamo, lo mette in evidenza un recentissimo rapporto Socrate fatto dal governo spagnolo, la gran parte delle donne in carcere come del resto degli uomini è frutto di una immigrazione non completamente integrata. Elementi evidetemente di differenze culturali sono presenti in questo dato.

Fondamentale in questo rapporto è di mettere in evidenza, di sottolineare in più passi della risoluzione di come la prigione debba essere considerata l’ultima risorsa nelle mani del potere giudiziario e anche dello stato, soprattutto nei confronti delle donne e delle loro particolarità, delle loro qualità e genialità, delle loro responsabilità qualora ne abbiano nei confronti dei figli. Perciò la condizione delle donne in carcere è all’attenzione di questo rapporto. E questo rapporto chiede a tutti noi, ad ogni singolo stato e al Consiglio d’Europa di introdurre elementi di riflessione seri, opportuni e puntuali nei confronti della leglisazione e dell’organizzazione del sistema carcerario e alternativo al carcere, altro punto fondamentale di questo rapporto.

Evidentemente altro elemento importante che mi sembra opportuno sottolineare è quello, come è stato detto più volte, per esempio nel punto 7, quando si ribadisce che la prigione deve essere il più flessibile possibile nel caso in cui le donne siano in attesa di un figlio o abbiano già dei figli. Ma flessibile anche nel far si che ci sia una reale opportunità d’inserimento. Il carcere, la costituzione italiana lo dice in maniera esplicita ma anche molti testi costituzionali di quarantasette paesi, deve essere l’occasione di scontare una pena ma anche per essere contemporaneamente inseriti nel contesto sociale con pieni diritti e piene opprtunità di rientarvi da protagonisti.

Questo deve valere ancor più per le donne, ancor più per le donne l’occasione e la specificità di avere servizi sanitari adeguati. Deve valere soprattutto per permettere alle donne di avere una educazione, una possobilità di reinserimento e di ripresa di responsabilità nei confronti della famiglia e dei propri figli. Ciò vuol dire aquisire quelle compenteze che si possono spendere nel futuro. Dunque anche questi passaggi importanti di distinguere le giovani donne dalle più adulte e la posssibilità di contatti e vistite sono elementi che rendono positivo questo rapporto e ci spingono a votarlo.