IT10CR03 AS (2010) CR 03
Versione provvisoria
SESSIONE ORDINARIA 2010
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(Prima parte)
ATTI
della terza seduta
Martedì 26 gennaio 2010, ore 10.00
DISCORSI PRONUNCIATI IN ITALIANO
FASSINO ( Doc. 12117)
Grazie, Signor Presidente. Prima di cominciare voglio rivolgerle le congratulazioni per la Sua elezione e naturalmente i migliori auguri per il Suo lavoro. L’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa torna ad occuparsi ancora una volta della questione israelo-palestinese. Non è la prima volta che lo fa, anzi, c’è nel nostro lavoro in questi anni una lunga riflessione e una lunga elaborazione che si è tradotta in rapporti che quasi ogni anno la nostra Assemblea ha esaminato.
Affrontiamo qui nuovamente un conflitto che come sappiamo, si trascina da sessant’anni, un tempo lungo nel quale in alcuni momenti la pace è apparsa vicina salvo poi dover constatare che invece non era così. Eppure io penso che non possiamo rassegnarci ad un conflitto infinito in Medio Oriente e abbiamo il dovere di continuare a sperare nella pace e lavorare perché la pace diventi possibile e concreta. Grazie all’iniziativa del Presidente Obama, negli ultimi mesi si sono riaperte delle opportunità di pace che non vanno lasciate cadere. E in queste settimane la diplomazia americana è impegnata in un forcing per convincere israeliani e palestinesi a riaprire i negoziati.
Nessuno naturalmente ignora le difficoltà e le differenze di vedute che tuttora sussistono tra le parti. Gli israeliani dichiarano unica e indivisibile la capitale dello Stato d’Israele e i palestinesi invece chiedono che Gerusalemme sia capitale di due Stati. I palestinesi chiedono il blocco generale e totale degli insediamenti di nuove colonie, mentre il governo di Israele ne ha disposto un congelamento parziale che non include insediamenti già autorizzati nel territorio di Gerusalemme. Alla richiesta dei palestinesi di riconoscere ai rifugiati il diritto al ritorno, Israele oppone di non poter accettare soluzioni che mettano in discussione l’equilibrio demografico e la ragione stessa dell’esistenza di Israele che è nato per dare una patria al popolo ebraico. Israele chiede, per la sua sicurezza, di esercitare il controllo di confini e spazio aereo del futuro Stato palestinese, mentre Abu Mazen è disposto ad accettare soltanto che tale garanzia sia affidata a una forza internazionale di pace. E infine, nessuno può ignorare la frattura che continua ad esserci tra Hamas e Abu Mazen il che indebolisce la possibilità dei palestinesi di presentarsi al tavolo delle trattative con una rappresentanza unitaria sufficientemente forte, e la criticità della situazione di Gaza, dove le condizioni di vita sono sempre più drammatiche e si pone urgente la necessità di riaprire i valichi di accesso e consentire l’inoltro degli aiuti umanitari.
Nonostante queste tante difficoltà, tuttavia, ci sono anche segnali che consentono di tornare a guardare con speranza alla pace. C’è intanto, in primo luogo, l’accettazione da parte del Primo Ministro Netanyahu della soluzione “due Stati per due popoli” e questa accettazione rimuove ogni ostacolo di principio alla nascita, accanto allo Stato di Israele, di uno Stato palestinese indipendente sulla base dei confini del ’67, modificati con eventuali scambi concordati di territori che tengano conto dei cambiamenti di questi quarant’anni. E la decisione del governo israeliano di sospendere nuovi insediamenti in Cisgiordania, anche se parziale e se non include Gerusalemme Est, costituisce un primo passo a cui noi chiediamo ne seguano altri.
Peraltro, anche dalla Cisgiordania vengono segnali positivi come la crescita economica dovuta a un’efficace azione del governo Fayyad, un miglioramento delle condizioni di vita della popolazione anche conseguenza della riduzione dei checkpoint, la presa di controllo del territorio da parte della polizia palestinese che assicura oggi condizioni molto migliori di sicurezza e di stabilità nei territori. E tutto questo dimostra la capacità di Abu Mazen, di Fayyad e dell’autorità nazionale palestinese di esercitare con efficacia e credibilità l’autorità di governo.
C’è poi la ripresa di un impegno forte della comunità internazionale. Non solo la determinazione di Obama che dal discorso de Il Cairo in poi ha fatto della questione israelo-palestinese una priorità della sua agenda, ma anche la dichiarazione dell’8 dicembre dei Ministri degli Esteri dell’Unione Europea conferma il rilancio di un impegno forte dell’iniziativa dell’Unione. Il piano arabo di pace è un contributo che viene dal mondo arabo e vede un ruolo attivo d’Egitto, Giordania, Arabia Saudita e insieme al ruolo attivo di questi paesi arabi c’è un ruolo sempre più significativo e importante della Turchia. C’è un ritorno sulla scena della Russia che ha avanzato la proposta di convocare a Mosca una nuova conferenza internazionale di pace e la prossima settimana, Abu Mazen visiterà la Russia per discutere di questa proposta e delle prospettive del processo di pace.
Sono tutti segni della consapevolezza della comunità internazionale che il tempo di agire è adesso e che aspettare, attendere, non avvicina la pace. E avere un’iniziativa forte e tempestiva è tanto più urgente di fronte alla ripresa di un’iniziativa di Al Qaeda e delle organizzazioni terroristiche, le quali non a caso guardano con sospetto e preoccupazione e ostilità alle iniziative di Obama perché capiscono che se la mano tesa al mondo islamico da Obama viene raccolta e si apre una fase nuova di relazioni tra l’Occidente e l’Islam, gli spazi per l’azione del terrorismo si riducono e dare un contributo in questa direzione riavviando i negoziati di pace e costruendo una soluzione al conflitto israelo-palestinese è tanto più importante considerato che una delle bandiere che strumentalmente il terrorismo gioca ogni giorno per la sua nefasta attività, è l’irrisolto conflitto tra israeliani e palestinesi.
Così come riavviare i negoziati e rimettere in moto il processo di pace è il modo per contrastare quel radicalismo islamico che, guidato dall’Iran, costituisce un permanente rischio per la regione con la sua azione di destabilizzazione.
Sono queste le ragioni per cui il nostro rapporto, esaminando i tanti aspetti della vicenda israelo-palestinese, sollecita le parti a tornare a un tavolo di negoziato. Naturalmente bisogna creare le condizioni perché questo avvenga e le condizioni si creano se entrambe le parti, oltre che essere consapevoli dei propri diritti e delle proprie rivendicazioni, sono capaci di mettere in campo atti generosi che tengano conto anche delle aspirazioni e delle rivendicazioni della parte avversa.
Il tempo in ogni caso non lavora per la pace. Proprio il fatto che questo conflitto si protragga da sessant’anni e che si sia molte volte arrivati vicini ad una pace e poi questa prospettiva sia sfumata, ci dice che il decorrere del tempo non avvicina la soluzione. Il decorrere del tempo, al contrario, accresce frustrazione, esasperazione, apre dei varchi a chi vuole utilizzare un conflitto non risolto per destabilizzare la stabilità della regione e del mondo intero.
E’ proprio questo il punto centrale del nostro rapporto. Rimettere in campo un’iniziativa forte delle istituzioni internazionali che aiuti, favorisca, sostenga le parti a riprendere un percorso di pace. Certo, riprendere un negoziato è prima di tutto responsabilità degli israeliani e dei palestinesi e noi chiediamo a ciascuna delle due parti di accantonare condizioni pregiudiziali e invece, di essere disponibili a sedersi al tavolo della trattativa con una vera disponibilità all’ascolto delle ragioni dell’altro e alla ricerca di soluzioni condivise e soddisfacenti per entrambi i popoli. Ed è responsabilità riprendere il negoziato anche della comunità internazionale che deve essere capace di accompagnare, assistere e sostenere le parti in conflitto, aiutare il negoziato a superare quelli che possono essere i punti più acuti di distanza o di incomprensione.
In questo sforzo, il Consiglio d’Europa ha un ruolo. Il Consiglio d’Europa ha sviluppato in questi anni non solo un’attenzione costante al conflitto israelo-palestinese ma si è anche proposto di svolgere un ruolo in particolare sulle materie di sua competenza. Abbiamo sviluppato rapporti di collaborazione di questa Assemblea Parlamentare con la Knesset e con il Consiglio Legislativo Palestinese. Abbiamo istituito un forum tripartito tra il Consiglio Legislativo Palestinese, la Knesset e l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa come luogo di dialogo, di confronto, di discussione e di costruzione insieme di quelle soluzioni, soprattutto in tema di diritti civili e umani, in tema di democrazia, in tema di fondamento giuridico del processo di pace e dei suoi assetti istituzionali, che può concorrere a favorire e aiutare la pace stessa.
Queste sono le considerazioni che vi sottopongo e che naturalmente sono esplicitate nel rapporto, sia nella risoluzione che negli exposés des motifs con molta più articolazione e con maggiore dettaglio che ovviamente il tempo non mi consente adesso di affrontare. Voglio infine chiudere questa mia introduzione dicendo che di fronte a questo conflitto, proprio il fatto che sia trascorso molto tempo senza che alla pace si arrivasse, proprio il fatto che molte volte si siano messi in campo negoziati che alla pace sono arrivati vicini senza che poi si arrivasse però ad un accordo, ha determinato nel mondo scetticismo e ha determinato nelle parti un grado di fiducia molto basso e il prevalere spesso della diffidenza, dell’incomunicabilità e del pregiudizio.
Penso che noi abbiamo il dovere di concorrere a rimuovere tutto questo: una pace si fa se c’è fiducia, una pace si fa tanto più se c’è fiducia in Medio Oriente perché non sono in conflitto un torto e una ragione ma due ragioni. Perché è una ragione il diritto d’Israele a chiedere di poter vivere sicuro e senza paura del suo futuro e dei suoi vicini, ed è una ragione la richiesta del popolo palestinese di avere una patria e mettere insieme due ragioni è più difficile che trovare una soluzione quando in conflitto sono una ragione e un torto. E questo ci deve portare a moltiplicare di più gli sforzi della comunità internazionale e i nostri sforzi, a sentire tutta la responsabilità di fare la nostra parte affinché questo conflitto possa trovare una soluzione, perché ad Israele e al popolo palestinese siano date quelle risposte che consentano a ciascuno di vivere sovrano nel proprio stato, sicuro senza paura del futuro e del suo vicino creando le condizioni perché ciascuno possa guardare al futuro della propria gente con fiducia e con speranza.
Si può comprendere che queste parole possano essere affidate più alla speranza che alla realtà. Eppure credo che la speranza può spesso cambiare la realtà. Voglio concludere usando una metafora semplice ma efficace: il ponte è molto traballante ma non ce n’è un altro per attraversare il fiume. Noi abbiamo il dovere di incoraggiare le parti a passare su questo ponte perché arrivando sull’altra sponda del fiume possano essere i protagonisti di una pace che dia ai loro popoli e ai loro figli davvero quelle speranze che noi oggi abbiamo qui. Grazie
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CHITI ( Doc. 12117)
Condivido il rapporto che ha presentato l’Onorevole Fassino e l’asse portante della risoluzione che ci viene proposta. L’equilibrio che le caratterizza è un pregio secondo me, se si vogliono non sbandierare dei vessilli ma dare un piccolo contributo in una situazione che, come è stato detto, è molto difficile. E questo è anche del resto lo spirito che muove la collaborazione che dobbiamo intensificare in forum tripartito tra la nostra Assemblea, la Knesset e il Consiglio Legislativo Palestinese.
Il tempo che scorre, è stato detto, è vero non è indifferente: lavora contro la pace ed è contro la pace. Bisogna che la comunità internazionale faccia sentire tutto il peso perché la trattativa riprenda. Una pace vera e duratura richiede di saper guardare avanti da parte di tutti, di realizzare due Stati per due popoli e dunque, necessariamente anche misure che conservino la specificità dello Stato d’Israele: una terra per la pace, altrimenti non vi sarebbe una risposta al diritto del popolo palestinese ad avere uno stato. E uno statuto speciale per Gerusalemme, città cui guardano non soltanto due popoli ma tre religioni.
Voglio dire anch’io una parola, signor Presidente, sulla questione dell’Iran che qui è stata richiamata e che svolge un ruolo già e che può rendere quel ponte fragile di cui l’onorevole Fassino parlava, più complesso a attraversare. La risposta del governo iraniano all’apertura del Presidente Obama è negativa. Dobbiamo dirlo con forza e esprimere da qui una severa critica perché il centro del nostro impegno, dell’impegno del Consiglio d’Europa sono i diritti umani, la diffusione della libertà e della democrazia.
Il governo iraniano deve cessare la crociata contro Israele, non riconosce neppure l’olocausto, deve cessare il sostegno ideologico e pratico a fondamentalismi e al terrorismo, deve cessare la violenza contro il suo stesso popolo, contro le opposizioni che ci sono nel suo popolo, deve uscire dall’ambiguità sull’uso del nucleare garantendo attraverso controlli della comunità internazionale un suo uso pacifico. Altrimenti penso siano urgenti nuove e dure sanzioni o come a volte in passato è successo, la comunità internazionale se ne pentirà poi amaramente.
L’Unione Europea deve non delegare ma assolvere al suo dovere di garantire le due ragioni che sono in gioco in Medio Oriente: la sicurezza a esistere dello Stato di Israele e far sentire ai cittadini israeliani ogni giorno questa certezza, e la realizzazione di uno Stato per il popolo di Palestina. Grazie.
MARCENARO ( Doc. 12117)
La parola d’ordine “due Stati, due popoli” è una parola d’ordine necessaria ma non sufficiente. Bisogna aggiungere “due Stati laici, pluralisti, democratici”. Signor Ayalon, quanti soldati ci sono voluti per portare via da Gaza alcune migliaia di coloni? Quanti soldati ci vorrebbero per portare via dalla Cisgiordania centinaia di migliaia di coloni se non si andrà a una soluzione che, oltre che sulla forza, sia basata sul consenso? Su un consenso dato dalla possibilità di scegliere se andare via o se restare come liberi cittadini in uno Stato palestinese nel quale si possa vivere avendo la garanzia del rispetto dei propri diritti, così come la garanzia del rispetto dei propri diritti è necessaria per i cittadini arabi che vivono in Israele.
Guardo con terrore all’ipotesi di una nuova repubblica islamica dopo quella iraniana, nei territori palestinesi e guardo con altrettanto terrore se l’ipotesi di una repubblica ebraica dovesse connotarsi con le stesse caratteristiche.
Bene, questo è oggi uno dei grandi problemi sul tappeto e a me pare che dovremmo intenderci sulle parole. Noi qua usiamo la parola pace riferita alla nostra esperienza. Per me che ho 64 anni, la parola pace vuol dire che dopo la guerra ho sempre vissuto in questa situazione. La parola guerra è una parola che incute in me e nelle persone della mia età in Europa terrore, ma per un mio coetaneo ebraico-palestinese, la parola guerra è semplicemente la vita che ha sempre fatto, è l’unica vita che conosce, è l’unica esperienza che ha, e o noi saremo in grado di riempire un’altra prospettiva di contenuti che parlino di una situazione diversa, di una possibilità davvero di una maggiore libertà, sicurezza, prosperità, o questa parola pace rimarrà una parola che noi pronunceremo e capiremo ma che nessuno delle persone alle quali ci rivolgiamo sarà in grado di intendere e di riconoscere come propria. Grazie.
NIRENSTEIN ( Doc. 12117)
Grazie Signor Presidente. Anch’io intendo ringraziare sentitamente il nostro relatore, fra l’altro italiano, signor Fassino che ha compiuto un grande sforzo di precisione e di lungimiranza nello stendere una relazione che cerca di essere equidistante dalle due parti.
Nel rapporto del signor Fassino molto spesso ci si richiama al Presidente Obama il quale, in questi ultimi giorni in una intervista a Time Magazine, ha detto una cosa di cui io credo la nostra Assemblea debba tenere gran conto, ovvero che ci sono stati molti errori nell’approccio della questione israelo-palestinese e che per questo si è fallito nella conquista di un processo di pace.
Bene, se guardiamo al passato più recente e anche a quello di lunga durata negli anni passati, quello che vediamo è che abbiamo avuto basilarmente due punti di riferimento. Uno si chiama “land for peace” e l’altro si chiama “two States for two people” (due Stati per due popoli). Ma che cosa è accaduto nella realtà dei fatti? Credo che il Presidente Obama si riferisse in gran parte a questo. Il tema del “land for peace” si è molto contaminato nel momento in cui, una volta sgomberata Gaza completamente da parte degli israeliani, e sgomberate anche nel corso del processo di Oslo tutte le città palestinesi del Ouest Bank, tali città furono usate nel corso della seconda Intifada come base di partenza di gruppi terroristi che cosparsero Israele di sangue, di esplosioni, di duemila morti.
E per quello che riguarda Gaza, nel momento in cui Gaza fu sgomberata, essa divenne una rampa di lancio di missili che nel numero di ottomila hanno colpito nel corso di questi anni le città israeliane circostanti. Dunque, la questione di “land for peace” va esaminata anche acquisendo nuovi elementi basilari rispetto al tema della sicurezza e del reciproco rispetto, altrimenti la questione non può funzionare. Ci si può immaginare che la psiche israeliana sia stata scioccata, traumatizzata da queste recenti esperienze e che quindi ogni soluzione debba essere vista attraverso la lente d’ingrandimento di questo problema.
Il tema poi “two States for two people” che credo sia giustissimo e basilare, è una base che Fassino mette in rilievo molte volte e con ragione, è stata inquinata invece dalla presa di potere a Gaza da parte del gruppo terroristico del Hamas il quale ha creato una situazione di spaccatura nel campo palestinese che fa sì che oggi si debba addirittura pensare a tre stati per tre popoli e questa è una problematica che non possiamo ignorare.
Concludo dicendo che quindi il tema dell’incitamento, il tema della fine della violenza verbale reciproca, dell’indicazione e della cessazione del terrorismo che ha insanguinato Israele per tutti questi anni, è un tema basilare nel processo di pace e che la responsabilità quindi non possa essere messa tutta su Israele e sullo sgombero dei territori. Grazie Presidente.
FASSINO ( Doc. 12117)
Ringrazio naturalmente tutti i colleghi che sono intervenuti per gli apprezzamenti che hanno espresso e ringrazio in particolare il Ministro Ayalon e il Ministro palestinese che ci hanno certamente arricchito la discussione con le loro considerazioni.
In pochi secondi voglio dire questo: ho concluso il mio rapporto dicendo che è importante non soltanto che le parti tornino a un tavolo di negoziato ma tornino compiendo atti di generosità e di disponibilità. E ciascuno sia consapevole non solo delle proprie rivendicazioni ma anche delle aspirazioni dell’altro.
Allora voglio dire in poche parole cosa significa questo, fare alcuni esempi: chiediamo al governo israeliano di non estendere ulteriormente gli insediamenti perché ogni estensione ulteriore di insediamenti riduce la fiducia nella pace. Chiediamo al governo israeliano di continuare nell’azione di rimozione dei checkpoint e di miglioramento delle condizioni di vita della popolazione palestinese in Cisgiordana. Chiediamo che si estendano le competenze alle autorità nazionali palestinesi e si metta Abu Mazen nel suo governo nelle condizioni di esercitare sempre meglio i suoi poteri. Chiediamo la liberazione dei prigionieri politici a partire dai tanti membri del Consiglio Legislativo Palestinesi, che oggi sono detenuti. Chiediamo che si riapra l’accesso a Gaza per inoltrare i beni che servono per l’aiuto umanitario e per la ricostruzione di Gaza.
Sono tutti atti che chiediamo allo Stato d’Israele e che se Israele compie rappresentano un contributo importante a creare un clima di confidenza e un clima di fiducia.
E chiediamo ai palestinesi anche delle cose: chiediamo ai palestinesi definitivamente, a tutti i palestinesi, di riconoscere il diritto all’esistenza di Israele senza più alcuna formula ambigua e reticente. Abu Mazen lo ha fatto da tempo. Altri settori palestinesi talora esprimono posizioni meno chiare. Più è chiaro questo riconoscimento più si va nella direzione della pace. Chiediamo a tutte le fazioni palestinesi di riconoscere l’autorità di Abu Mazen e di consentire al Presidente Abu Mazen di rappresentare bene i palestinesi nel negoziato. Chiediamo alle diverse fazioni palestinesi di mettere in campo una strategia, un accordo di riconciliazione riprendendo la piattaforma del Cairo che Abu Mazen ha firmato e che Hamas invece si è rifiutata sin qui di firmare.
E ad Hamas credo che dobbiamo lanciare questo messaggio: Hamas è una presenza in Medio Oriente. Nessuno è così sciocco da ignorarla ma se Hamas vuole essere un protagonista nel processo di pace deve compiere degli atti, deve riconoscere che Israele ha diritto di esistere perché è impossibile negoziare con un soggetto di cui si nega il diritto all’esistenza, deve rinunciare definitivamente al ricorso alla violenza e al terrorismo, deve riconoscere l’autorità di Abu Mazen e consentire ad Abu Mazen di riprendere l’autorità su Gaza e in questa chiave costruire le condizioni di una riconciliazione nazionale che consenta ai palestinesi di essere uniti.
Credo che dobbiamo anche sottolineare qui che l’impegno della comunità internazionale che vede oggi un impegno molto forte americano e europeo, anche della Russia come è stato richiamato nel dibattito, ha un punto di forza nel ruolo dei paesi arabi. I paesi arabi costituiscono con la loro iniziativa di pace un protagonista essenziale. Credo che dobbiamo incoraggiare ogni iniziativa che dal fronte arabo venga e naturalmente nel momento in cui incoraggiamo le leadership a muoversi, non possiamo che guardare con preoccupazione invece a quello che accade in Iran e chiedere alle autorità iraniane di cambiare strada e di accogliere le proposte che la comunità internazionale ha avanzato per una soluzione pacifica del problema del nucleare così come chiediamo che in Iran vengano rispettati i diritti civili e umani per tutti e le forze di opposizione non siano represse come sono state represse in queste settimane.
Infine voglio dire questo: quasi tutti hanno apprezzato il mio rapporto sottolineandone l’equilibrio. Voglio dire questo; compito delle istituzioni internazionali, e anche della nostra, non è quello di essere l’avvocato dell’uno contro l’altro o essere addirittura il tifoso dell’uno contro l’altro. Nostro ruolo come quello delle altre istituzioni internazionali è quello di creare le condizioni perché le parti si parlino, si fidino, negozino e noi lo dobbiamo incoraggiare, accompagnare e assistere in questo percorso. Grazie.
VOLONTE’, domanda al Primo Ministro della Grecia on. Georges A. Papandréou
Onorevole Presidente, onorevole Primo ministro la mia domanda è chiara e sintetica. Abbiamo tutti visto di come in Grecia, ma anche in altri paesi del Consiglio d’Europa, ci siano frequenti manifestazioni di protesta. Evidentemente la protesta non è nei confronti del governo di oggi, o di ieri, ma deriva dalle conseguenze sociali della crisi, cosa ne pensa Lei?