Versione provvisoria
SESSIONE ORDINARIA 2010
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(Seconda parte)
ATTI
della tredicesima seduta
Martedì 27 aprile 2010, ore 15.00
DISCORSI PRONUNCIATI IN ITALIANO
VOLONTE’, domanda al Segretario Generale del Consiglio d’Europa on. Thorbjørn Jagland
Onorevole Segretario Generale grazie per il suo entusiasmo, grazie per il suo impegno, grazie per lo sforzo che sta facendo nella riorganizzazione dei lavori dell’intero Consiglio d’Europa e se mi permette grazie per il suo realismo che può consentire al Consiglio d’Europa di mettere assieme le forze e guardare al futuro. Lei ha parlato di una grave linea di demarcazione che può crearsi in Europa sul tema della Corte. Come possiamo aiutare i suoi sforzi per far sì che l’Unione europea aderisca alla convenzione dei diritti umani e si eviti una nuova linea di demarcazione all’interno del nostro continente?
VOLONTE’ ( Doc. 12103)
Presidente Mignon e cari colleghi, quando abbiamo cominciato a discutere di questa relazione nella Commissione affari sociali, eravamo nel pieno della crisi economica. Eravamo nel pieno del dibattito sui giornali della crisi economica, perché se si vede un orizzonte, un futuro positivo: il presidente della Banca centrale europea, il direttore e il presidente del Fondo monetraio internazionale, il presidente dell’ OCSE ci dicono che si vede lontano al di là del tunnel una luce.
Certamente allora come oggi, non possiamo sapere non solo i tempi ma anche gli effetti sociali di questa crisi. Effetti sociali che questa crisi avrà sempre di più in questo anno, il 2010, sulle famiglie e sulle persone. Perché molti degli effetti sociali della crisi economica si vedranno proprio in questi mesi e in questo 2011. Non è un caso che la disoccupazione continui ad aumentare, non è un caso che questi organismi internazionali ci stanno purtroppo dicendo che alla fine del 2011 i cittadini della grande Europa vivranno con un tasso d’interesse pari a quello di quindici anni prima. In quest’ultimo anno avremo bruciato benessere e capacità di benessere familiare e personale che i nostri genitori avevano accumulato negli scorsi quindici anni. Gli effetti sociali si vedranno ancora di più alla fine di quest’anno.
E’ per questo che nel discutere questo rapporto ho voluto cominciare con questa premessa, a noi in parte sconosciuta all’inizio della discussione in Commissione ma che rafforza il contenuto delle nostre discussioni e della proposta di risoluzione che proponiamo alla vostra attenzione. Una risoluzione che parte da un’idea che è stata confermata dagli incontri e dalle riflessioni del dibattito con gli esperti. Investire nella famiglie è e può diventare un importante fattore di coesione e di sviluppo proprio nel momento di una crisi e dell’impatto degli effetti di una crisi economica nei nostri paesi.
Per molte ragioni, non solo culturali e filosofiche, la famiglia non è solo un fattore di crescita umana per le persone che la compongono. Non è solo un investimento per l’educazione dei figli. Non è solo il luogo in cui il rapporto intergenerazionale, di cui tutti ci preoccupiamo nelle nostre nazioni e nei confronti del quale siamo attenti, trova il luogo fisico dove diverse generazioni i giovani, gli anziani, i genitori possono trovare un momento di sviluppo della propria solidarità ma è anche il luogo con il quale e dentro il quale si creano reti di solidarietà interfamiliare oltre che intergenerazionale. Si crea quel capitale sociale, ormai oggetto di studi da tanti anni e in molti dei nostri paesi, che è uno degli elementi non solo virtuosi della nostra società ma anche fattore di creazione, di welfare, di sviluppo di welfare, di attenzione e sviluppo quindi anche nei confronti della società nazionale nel suo complesso.
Promuovere, in questo contesto e davanti questi fattori di crisi, una comune responsabilità tra gli uomini, nel prendersi carico della responsabilità nei confronti dei propri figli è un fattore importante in questo momento. Rafforzare la stabilità dei legami familiari è un altro elemento che abbiamo ritenuto importante in questo contesto generale del sostegno e dell’investimento delle famiglie in questa situazione di crisi in cui ci troviamo. Una più spiccata idea e azione congiunta, da parte di tutti i governi, che sia amica della famiglia, family friendly. Non esclusivamente misure fiscali ma un approccio globale che abbia come orizzonte il punto di partenza, che per noi rimane centrale, fattore di sviluppo anche in questi momenti, della famiglia.
Troppo spesso la famiglia è stata considerata in questi anni come l’unica possibilità per assorbire la disoccupazione di uno dei suoi componenti, gli choc che derivavano dalla crisi. Troppo spesso la famiglia è stata capace di assorbire questi choc ma proprio per questo non si deve ridurre la famiglia ad un ammortizzatore sociale. Essa deve diventare in positivo un elemento fondamentale dello sviluppo delle nostre società nel contesto che stiamo vivendo e che vivremo, come ho detto, nei prossimi anni visto i dato che abbiamo a disposizione.
Certamente abbandonare la famiglia al proprio destino porta un aumento di crisi, un aumento di povertà assoluta, un aumento di difficoltà all’interno delle relazioni familiari. Fa diminuire non solo il capitale delle virtù civili di una nazione e di una società ma ha un impatto negativo sul piano dello sviluppo economico di quella società. Allora sviluppare le politiche familiari diventa un investimento che da un lato rafforza la collaborazione intergenerazionale, rafforza la possibilità di crescita dei futuri cittadini del nostro Consiglio d’Europa, rafforza la possibilità di una maggiore coesione sociale e di migliori capitali umani a disposizione dei nostri singoli stati e del nostro paese e nello stesso tempo fa del bene e fa risparmiare soldi. Si produce una ricchezza che è immateriale ma che è elemento fondamentale di una economia sociale e di mercato di cui ci hanno parlato anche i nostri relatori.
Per questo oltre la famiglia, oltre le reti di solidarietà sociale, oltre una politica che parta nell’affronatre i problemi dalla famiglia e che sia amica della famiglia, in questo contesto non c’è dubbio anche le reti di solidarietà no profit sono assolutamente fondamentali e altrettanto fondamentale è un’attenzione da parte del mondo profit affinché i bisogni delle famiglie siano considerati un elemento di crescita. Molti dei nostri paesi hanno delle buone pratiche, all’interno di questi paesi ci sono imprese che hanno delle ottime pratiche nei confronti della famiglia che dimostrano che l’attenzione alla famiglia anche all’interno dell’impresa è un fattore d’investimento positivo, anche economicamente positivo. Salva e salvaguardia la corresponsabilità tra genitori e figli e produce una ricchezza in più per quella società e per quella impresa.
Unire le buone pratiche, promuovere una strategia di maggiore integrazione tra le politiche dei nostri quarantasette paesi su questo tema importante e supportare tutte quelle politiche locali. Promuovere una solidarietà e una sussidarietà orizzontale e verticale tra i nostri paesi può diventare appunto un fattore non solo di sviluppo per l’intera società ma di maggiore coesione intergenerazionale e fattore di sviluppo per affrontare positivamente gli effetti negativi che la crisi economica porterà nella nostra società. Per questi motivi, vi chiediamo un sostegno al nostro rapporto. Grazie.
SANTINI ( Doc. 12026, 12200, 12195, 12103)
Quattro minuti per quattro relazioni, bisogna fare un sintesi estrema! Un sincero grazie ai quattro relatori per le molte suggestioni che ci hanno proposto e su cui ragionare magari anche nei gruppi. La collega Maria de Belém Roseira, relatrice sulle ripercussioni sociali, osserva che tra le motivazioni della crisi c’è una perdita di fiducia da parte dei cittadini nei confronti delle istituzioni politiche, incapaci do collegare concretamente le riforme economiche alle esigenze di sviluppo e di protezione sociale. Non a caso o paesi che hanno sistemi sociali e di assistenza sanitaria più sviluppati stanno sostenendo con maggiore capacità di reazione i contraccolpi economici.
In tempi di crisi sono le fasce più deboli della popolazione a pagare ilprezzo più pesante. Da questa considerazione parte il rapporto di Pedro Agramunt che esamina le ripercussioni della crisi sulle dinamiche dell’immigrazione in Europa. La crisi economica provoca disoccupazione e primi a trovarsi senza lavoro sono gli immigrati, con conseguenze benpiù pesanti rispetto ai cittadini di uno stato. Innanzitutto viene a mancare una fonte di reddito spesso unica, quindi vengono messi in pericolo i nuclei familiari già costituiti. Non solo ma molti immigrati perdendo il lavoro perdono anche il loro status giuridico e rischiano di essere rimpatriati. Nascono anche casi di clandestinità in quanto tutti sanno che, una volta tornati in patria, difficilmente potrebbero espatriare ancora, anche quando gli effetti della crisi saranno superati.
Un settore in cui la crisi pesa più gravemente rispetto agli altri è quello delle donne, come ricorda la relatrice Gisela Wurm. Le donne possiedono solo l’1% della ricchezza del mondo, garantiscono il 10% del reddito globale, occupano solo il 14% delle posizioni di leadership nelle imprese e nella politica ma rappresentano il 70% di casi di povertà conclamata. Ebbene qualcuno dice che la crisi attuale, fortemente caratterizzata da caratteri maschili, sarebbe stata meno pesante se fosse stata data alle donne una maggiore responsabilità in determinate decisioni. Di qui l’esortazione a favorire un più consistente accessso delle donne ai ruoli decisionali della politica e della pubblica amministrazione.
Infine è nella famiglia e nella sua capacità di coesione che si pongono le maggiori speranze di recupero. I bassi tassi di natalità, l’invecchiamento della popolazione, il crescente impiego delle donne nella forza lavoro e quindi a scapito delle loro presenza in famiglia, costituiscono fattori di pericolo per la tenuta della famiglia di fronte alle crisi economiche. Il relatore, Luca Volonté, oltre a ricordarci queste cose, indica la strada per fare della famiglia il motore delle iniziative anticrisi: coesione come cemento per la solidarietà intergenerazionale, quibdi reddito solidale tra giovani e anziani,uomini e donne, strutture per l’assistenza all’infanzia, la parità di genere, le pari opportunità per l’istruzione e la formazione professionale, i servizi sociali e culturali aperti a tutti. La famiglia come formidabile task-force anticrisi. La realizzazione di queste condizioni, integrate dagli input contenuti nei documenti che ho ricordato in precedenza, consentirebbe alle famiglie di rafforzare il proprio ruolo di centrale della coesione tra le persone, di luogo del confronto nel quale tutti i problemi sono affrontati e risolti.
Ma non dimentichiamo che tutto questo si realizzerà soltanto se vi sarà un collante: l’amore tra le persone, unite da un sentimento prima che da un rapporto giuridico. Ecco l’amore, un valore più forte di qualsiasi teoria economica e di qualsiasi strategia politica.
GIARETTA (Doc. 12026, 12200, 12195, 12103)
Cari Colleghi, vi è una larga condivisione sul fatto che le cause più immediate della crisi hanno la loro radice sostanzialmente in due fatti: recesso di finanziarizzazione dell’economia con la ricerca smodata del profitto a breve termine, e la mancanza di strumenti regolatori adeguati sia a livello dei singoli stati sia e soprattutto a livello sovranazionale.
La crisi porta a due conseguenze sociali negative: una diretta, col rallentamento dell’attività economica e quindi, le pesanti conseguenze occupazionali, con la perdita di posti di lavoro, sia quelli esistenti sia quelli che non vengono creati, particolarmente per i settori più fragili del lavoro precario, del lavoro femminile, del lavoro poco qualificato. E poi una conseguenza indiretta per l’enorme costo della finanza pubblica portato dagli aiuti agli istituti finanziari che hanno distorto le priorità di spesa prosciugando ad esempio gli stanziamenti a favore di strumenti innovativi per il welfare.
Queste due debolezze mettono in luce degli aspetti strutturali. Particolare il fatto che le ricadute occupazionali sociali si aggravano per diversi motivi: per le scelte aziendali rivolte prevalentemente a brevissimo termine, per l’indebolirsi della funzione sociale dell’impresa, per la crisi fiscale degli stati che sotto la pressione competitiva di una finanza volatile a livello planetario comporta l’indebolimento dei sistemi di welfare, per il degrado dei grandi servizi egualitari come la scuola e la sanità, per l’indebolirsi della capacità rappresentativa e contrattuale del sindacato.
E le conseguenze della crisi si aggiungono ad una tendenza presente da tempo: l’aumento delle disuguaglianze e della distribuzione dei redditi a favore dei redditi più elevati rispetto a quelli medio-bassi e a favore dei redditi da capitale rispetto a quelli da lavoro come ha messo in luce il rapporto dell’OCSE “Growing Unequal”.
Solo la presenza nella maggior parte dei paesi di strumenti di welfare largamente diffusi ha permesso in parte di contenere l’allargarsi della forbice della disuguaglianza ma, se di fronte al permanere della crisi ci fosse un indebolimento dell’azione dei governi per compensare le disuguaglianze, ci fossero politiche fiscali e previdenziali più sfavorevoli ai poveri, la crescita della disuguaglianza sarebbe molto più ampia, tale da mettere in discussione il livello dei diritti sociali fondamentali tutelati dal Consiglio d’Europa.
D’altra parte, le recenti previsioni della Banca Centrale Europea registrano una alta probabilità di un ulteriore aumento della disoccupazione per tutto il 2010. Attualmente, il livello di disoccupazione nell’area Euro è il più elevato dal 1998. Una così prolungata caduta del tasso di occupazione in un’area molto vasta compromette la crescita della domanda globale e rende molto più fragili i sistemi di sicurezza sociale. Perciò occorre cogliere l’occasione della crisi per orientare le scelte per un nuovo modello di sviluppo maggiormente orientato a lungo termine, all’equilibrio sociale, alla sostenibilità ambientale.
Occorre ristabilire un equilibrio tra crescita economica e diritti sociali. Un nuovo terreno di mediazione fra liberalizzazione dei mercati e regole sociali, prevedendo un rafforzamento del ruolo dell’organizzazione internazionale del lavoro in una governance globale accanto alle altre organizzazioni come il Fondo Monetario, la Banca Mondiale, l’Organizzazione Internazionale del Commercio.
La globalizzazione positiva può essere salvata se accanto ad una definizione delle regole finanziarie si riuscirà ad espandere standard condivisi in materia di diritti sociali. Per questo sono grato ai cinque relatori condividendo le loro sollecitazioni per una ripresa di politiche sociali all’altezza della sfida e perché la parola giustizia sociale sia una parola che non venga dimenticata.
CHITI (Doc. 12026, 12200, 12195, 12103)
Anch’io voglio dire una parola schematica sulle cause prima di vedere le conseguenze sociali di una crisi che continua a colpire il mondo. Come è stato detto, non è un evento naturale, non è un uragano. E’ stata causata da scelte politiche e da comportamenti precisi. A mio giudizio è frutto di un neoliberismo che ha assecondato non la globalizzazione, che è giusto, ma una globalizzazione senza regole.
Da qui le bolle finanziarie e le speculazioni, da qui una concezione del mercato non come strumento importante ma che la politica deve sapere orientare su grandi finalità, ma come una nova divinità da adorare in modo acritico. Da qui la persona è ridotta a oggetto, la flessibilità tradotta per i nostri giovani in precarietà, l’ambiente saccheggiato, le risorse non rinnovabili sperperate. E’ per questo che sono aumentate le disuguaglianze fra i cittadini e tra i popoli e che i più deboli, gli immigrati, i poveri, gli anziani, ma nelle nostre società anche più ricche, chi ha perduto il lavoro, e le donne in primo luogo, sono più colpiti.
Bisogna cambiare strada e non è scontato che sarà così. Qualcuno potrebbe allora chiedersi se questi argomenti, la crisi, lo sviluppo, non siano fuori tema per l’Assemblea del Consiglio d’Europa. Il centro del nostro impegno sono infatti, i diritti umani, la democrazia, la libertà e lo stato di diritto. Ma è proprio per questo che non siamo fuori tema e che la discussione di oggi è giusta e opportuna e che apprezzo le relazioni che sono tra loro complementari, l’approvo con convinzione.
Perché la crisi può far arretrare traguardi di libertà. La crisi sta già facendo arretrare traguardi di uguaglianza raggiunti tra donne e uomini, la crisi può rendere più fragili i diritti di cittadinanza, basti pensare già agli immigrati, la crisi può creare abissi di incomprensione tra gli stati con rischi anche tra la pace e la collaborazione in tante aree del mondo.
Bisogna allora anche da qui sollecitare priorità essenziali: io ho già detto che condivido le relazioni. Per brevità ne sottolineo tre di questi obiettivi, su cui secondo me ci dovrebbe essere una cooperazione a livello internazionale e anche un dialogo tra le parti sociali all’interno dei vari stati.
Sostenere l’occupazione, il diritto al lavoro di qualità, lo sviluppo che non costruisce per i cittadini possibilità di lavoro, non è uno sviluppo giusto, non è sviluppo. Perché il lavoro continua a fondare l’autonomia di ogni persona. Secondo: rinnovare il welfare assegnando a istruzione, a formazione, a sanità il compito di realizzare quella uguaglianza di opportunità senza cui parlare di merito diventa ipocrisia perché servirebbe soltanto a giustificare rendite che sono dovute a differenze di nascita. Il merito è giusto ma se si parte da una condizione di uguaglianza. Infine, prevedere misure ad hoc per le fasce più povere della popolazione per non condannare a una emarginazione permanente.
Al livello degli Stati dell’Unione Europea c’è un patto di stabilità, Signor Presidente. Dice qual è il deficit che si deve avere rispetto alla ricchezza che si produce e ogni anno si deve cercare di rispettare. Sarebbe importante se ogni stato anche avesse dei traguardi e degli obiettivi concreti per ridurre la povertà e ogni anno si verificasse se riusciamo a raggiungere questi obiettivi. Grazie.
VOLONTE’ ( Doc. 12103)
Uso i miei quattro minuti intanto partendo nel ringraziare tutti gli innumerevoli relatori che sono intervenuti in questo dibattito e voglio scusarmi in particolare con Madame Marin per non aver ascoltato tutto il suo intervento ma per qualche minuto non ho potuto assistervi. E parto proprio da qui. La ringrazio perché ha sottolineato come le famiglie sono un partner della società, della solidarietà. E’ un fattore che crea un elemento importante che crea la coesione sociale.
Questo dato di fatto, come Lei ha giustamente sottolineato, deve essere accompagnato, lo diciamo nel nostro rapporto, in politiche Family-friendly che siano fatte con le famiglie e nello stesso tempo, appoggiando la genitorialità e la parentalità e guardino alle famiglie non solo come singoli soggetti della società civile ma come possibilità per sviluppare questa coesione attraverso anche la relazione tra famiglie.
E’ molto importante appunto sottolineare il dialogo nella famiglia e tra le famiglie. Molti dei nostri governi, ricordo un anno fa, a Vienna si incontrarono tutti i 47 ministri o responsabili dell’amministrazione dei ministeri per le famiglie, io ero stato invitato a nome dell’Assemblea del Consiglio d’Europa, lavorano già in questa direzione. Allora, questa risoluzione non fa altro che apportare un nuovo impulso all’azione che già era stata oggetto di un impegno specifico da parte dei nostro governi.
Ringrazio anche molti altri che nei loro interventi hanno sottolineato l’importanza per i nostri governi e per le nostre società, del fattore familiare proprio in questa situazione drammatica. Molti sono intervenuti dicendo: chissà che cosa avremo nei prossimi anni. Sappiamo per certo che alcuni elementi di difficoltà sociale, di crisi sociale, stanno aumentando e certamente gli effetti sociali di questa crisi aumenteranno molto di più nei prossimi mesi.
Aumenteranno i giovani che mancano di un posto di lavoro ed è per questo che richiediamo una particolare attenzione nel sopportare il desiderio delle famiglie dei giovani e della loro professionalità. Aumenteranno le persone che oltre i 45 anni non troveranno un altro posto di lavoro. Ed è per questo che diciamo che investire nella famiglia è investire anche in un patto intergenerazionale che può salvaguardare e sviluppare il futuro delle nostre società europee.
Per questo guardiamo con attenzione alle famiglie povere, alle famiglie monoparentali, alle famiglie degli immigrati come soggetti dentro questo grande rischio ancora più suscettibili di un rischio. Ed è questa la ragione, evidentemente, per la quale non ci siamo fermati a dare dei generici impegni ai governi. Abbiamo chiesto esplicitamente al Comitato dei Ministri di scambiarsi le migliori pratiche, di sviluppare delle politiche familiari, ma abbiamo volontariamente introdotto un impegno anche per il complessivo “organizzazione” del Consiglio d’Europa: partire da una strategia d’interazione tra tutti gli organismi del Consiglio d’Europa che promuovano le politiche di coesione sociale a partire dalla famiglia, ci sembra un modo importante da protagonista dentro il quale non solo il Comitato dei Ministri, non solo noi che siamo qua ma anche le strutture del Consiglio d’Europa possono dare un utile contributo alla coesione sociale, allo sviluppo economico e del benessere europeo in questo particolare momento storico che stiamo vivendo.
E anche nei mesi futuri, come ho detto, dove tutti questi elementi di difficoltà non potranno che aumentare. E ci vorrà ancora più attenzione proprio nei confronti della famiglia.
Consentitemi in questi 15 secondi una battuta: l’amico Kox ha parlato di Carlo Marx. Carlo Marx partiva da un’analisi drammatica della situazione dei lavoratori, questo non c’è dubbio, gli effetti delle sue teorie però hanno portato a situazioni altrettanto drammatiche. Penso che ciò che è stato detto all’amico Fritz sull’economia sociale di mercato possa essere una strada importante e positiva nella quale la famiglia è un soggetto assolutamente fondamentale. Grazie.
GIARETTA ( Doc. 12199)
La crisi economica globale del 2008 e del 2009 ha evidenziato un paradosso: mentre i dati del PIL restavano fortemente positivi, gonfiati dai numeri della finanza, peggiorava il benessere delle famiglie. Il problema non è tecnico ma politico. Se si assume come dato prevalente per le scelte strategiche di politica economica pubblica solo il dato della produzione di ricchezza si ha una visuale troppo limitata. In particolare, non possiamo pensare che il PIL corrisponda a una misura del benessere di una comunità.
Il PLI si limita a misurare l’attività economica del mercato. E’ un dato certamente importante, perché il livello dell’attività economica condiziona il livello delle risorse a disposizione dei governi per le politiche di sviluppo e coesione, il volume dell’occupazione, i redditi delle famiglie e delle imprese, l’indebitamento pubblico. Gli elementi strutturali della crisi indicano invece come sia necessario valutare per le scelte strategiche di politica economica altri elementi.
Il primo: come viene distribuito il reddito prodotto e quale sia il gardo delle diseguaglianze. Gli studi dell’OCSE mettono in luce che anche nel mondo occidentale la crescita del PIL si è accompagnata ad una crescita rimarchevole delle diseguaglianze. Il secondo: quali siano gli elementi su cui basare una capacità di crecsita durevole nel tempo. Non è indifferente come la ricchezza viene prodotta. Terzo: quale sia la sostenibilità dal punto di vista ambientale e sociale del processo di crescita. Questo non significa dover abbandonare il PIL come indicatore sintetico della formazione di ricchezza. La strada è un’altra: un miglioramento dei criteri di misurazione del PIL e l’adozione condivisa a livello internazionale di un set di indicatori maggiormente finalizzati a misurare il benessere dei cittadini e la sostenibilità dello sviluppo.
Enrico Giovannini, attuale presidente dell’Istituto di Statistica italiano e già direttore delle Statistiche dell’OCSE, indica la necessità di convenire in una sorta di costituzione statistica condivisa a livello internazionale, concentrandosi su alcuni indicatori largamente riconosciuti in letteratura come fondamentale per il benessere degli individui: lo sato psicofisico, la conscenza, il lavoro, il benessere materiale, l’ambiente, i rapporti interpersonali, la partecipazione alla vita della società. Indicatori che poi si riducono a due criteri generali: l’equità dello sviluppo e la sua sostenibilità nel tempo.
Si tratta ora di passare ad una fase concreta. L’eccellente rapporto dell’on. Vrettos e le indicazioni contenute nella risoluzione offrono indicazioni preziose e condivisibili e annuncio perciò il voto favorevole del gruppo ALDE. Si tratta di fare una scelta politica di fondo: rinunciare all’idea che la crescita infinita sia di per sé un obiettivo prioritario ed assoluto, che automaticamente aumenta il benessere e la felicità dei cittadini ma associare all’idea della crescita la valorizzazione di quei beni relazionali, culturali, ambientali che costituiscono appunto una componente essenziale del benessere dei cittadini ed il presupposto per una crescita equa e sostenibile.