IT11CR05

AS (2011) CR 05

 

Versione DVD

SESSIONE ORDINARIA 2011

________________________

(Prima parte)

ATTI

della quinta seduta

Mercoledì 26 gennaio 2011, ore 10.00

DISCORSI PRONUNCIATI IN ITALIANO

Marcenaro (Doc. 12461)

Signor Presidente, lasciate che anch’io ringrazi in primo luogo le delegazioni di Serbia, di Bosnia e di Croazia, le delegazioni parlamentarti che hanno contribuito a questo lavoro, e che ringrazi il Segretariato della Commissione politica, un collettivo competente e motivato che ha avuto gran parte in questo lavoro.

Caro Presidente, cari colleghi, non dimentichiamo mai quale tragedia sia stata la guerra che tra il 1991 e il 1995 ha sconvolto la regione dell'ex-Jugoslavia. E’ stato ricordato prima dal collega Dorić: oltre centocinquantamila morti, più di due milioni di rifugiati e profughi. Essa ci ha consegnato non solo un nuovo panorama politico e istituzionale ma una nuova geografia umana.

La struttura demografica dei diversi paesi della regione è stata trasformata. Questo è vero nelle grandi città come Sarajevo come nei piccoli centri. Da allora, dalla guerra, il processo di separazione su base etnica non solo non è tornato indietro ma è andato avanti. E si tratta di effetti profondi: in alcuni casi, forse irreversibili. E comunque un cambiamento richiederà tempi lunghi. Dobbiamo sempre ricordare sempre che i tempi del cambiamento culturale non coincidono con i tempi della politica. La generosa illusione che le ferite della guerra possano guarire in tempi brevi, può fare danni ed essere pericolosa in una situazione che richiede oltre al coraggio, pazienza, tenacia e lungimiranza.

La politica sarà tanto più efficace quanto più non si nasconderà la realtà com'è e le sue difficoltà. Questa nuova geografia umana, dominata dalla separazione etnica, ci consegna la domanda di fondo che è al centro del mio rapporto: democrazia e stato di diritto sono possibili su basi etniche? E’ una domanda che non riguarda, come ben sappiamo, solo questa regione. Però, mentre facciamo questa domanda, nello stesso tempo dobbiamo ricordare e riconoscere che questa separazione è stata necessaria per fermare la guerra. Questi furono a suo tempo gli accordi di Dayton.

Ecco, tra questi due poli, in questa contraddizione, tenendo conto di entrambi questi aspetti, deve muoversi la politica ed io ho cercato di impostare e di costruire il mio rapporto. Non dimentichiamo inoltre che stiamo parlando di paesi che affrontano una doppia transizione: non solo la transizione dalla guerra ma anche la transizione dal comunismo. Troppo spesso questo secondo aspetto viene rimosso e ignorato. Invece stiamo parlando di paesi che hanno di fronte a sé una doppia transizione.

Oggi, nella regione, la situazione è migliore, nettamente migliore che nell’ottobre 2009, quando la mozione che è all’origine di questo rapporto, fu depositata. Al centro di questo miglioramento stanno essenzialmente due fatti: uno riguarda i rapporti politici, istituzionali, le relazioni tra i governi, e in particolare la migliore relazione tra Serbia e Croazia e in questo in particolare tra i presidenti Tadić e Josipovic che hanno svolto un ruolo molto importante in questa fase. E questa migliore relazione costituisce una risorsa non solo per questi due paesi, è una risorsa a disposizione di tutta la regione ed io penso in particolare oggi, a disposizione anche dei difficili problemi che stanno davanti alla Bosnia Erzegovina.

Ma il secondo aspetto è che in questi anni è andato avanti un dialogo nella società civile: una molteplicità d’iniziative potrebbero essere ricordate con come protagoniste le ONG dei diversi paesi. Senza dubbio, al centro di questa iniziativa della società civile vi è l’iniziativa che ha coinvolto oltre novecento ONG di tutti i paesi della regione, di quella che oramai è conosciuta come l’iniziativa per RECOM, cioè per istituire una commissione regionale per la verità e la riconciliazione. Una commissione che sulla base anche di altre esperienze che sono state condotte nel mondo, provi a portare interamente dentro e nelle mani di coloro che ne sono stati i protagonisti in questa questione della riconciliazione.

Voglio chiarire che si tratta nell’impostazione delle ONG non di un’iniziativa semplicemente sul piano del volontariato, ma di una decisione che deve essere assunta dagli Stati e che deve vedere la partecipazione di tutti, cioè nessuno escluso. Tutti i soggetti che sono stati coinvolti nel conflitto devono poter sedere a quel tavolo. Sta ai paesi interessati di trovare le modalità perché questo possa avvenire.

Il 31 agosto scorso, il Presidente Josipovic ha dichiarato di sostenere queste iniziative e il giorno dopo, la stessa dichiarazione ha fatto il Presidente della Serbia, il Presidente Tadić. Propongo nel mio rapporto che la nostra Assemblea dia pieno sostegno a questa iniziativa e alla campagna che sarà sviluppata a suo sostegno nei prossimi mesi per farne un fatto di grande mobilitazione delle opinioni pubbliche dei diversi paesi.

Nonostante questo quadro migliore e positivo che ho cercato di tratteggiare, bisogna ricordare anche però che tutti i dossier rimangono aperti e attendono soluzioni. Sono ancora circa quindicimila le persone disperse, per le quali le famiglie aspettano informazioni e notizie. Sono ancora quasi quattrocentocinquantamila i rifugiati e i profughi e nonostante la ripresa del processo di Sarajevo, la questione è lontano dall’essere risolta. Credo che il Commissario Hammerberg parlerà di questo problema quando prenderà la parola. Voglio ricordare che è una questione che richiede un nuovo impegno anche da parte della comunità internazionale. Per risolvere questo problema, i paesi interessati hanno bisogno di essere aiutati anche con risorse materiali che sono indispensabili.

E’ inoltre l’ora di proporsi, io l’ho chiamato nel mio rapporto, un vero e proprio disarmo culturale. Un disarmo culturale che riguarda il discorso pubblico sulla guerra, che rimane troppo separato e fonte possibile di nuove retoriche nazionaliste. Che riguardi l’elaborazione della memoria della guerra, la storia, la scuola, l’educazione. Un nuovo impegno su questo terreno è necessario.

E infine, la questione più difficile: quella che riguarda la costituzione della Bosnia Erzegovina. Lì è dove il dilemma e la ricerca di un nuovo equilibrio favorevole all’uguaglianza dei cittadini e alla democrazia farà la sua prova. Si tratta naturalmente di dare applicazione in primo luogo alla sentenza della Corte sul caso di Sejdic et Finci ma non solo di questo: non si può sfuggire alla domanda: è possibile, secondo voi è possibile uno Stato di diritto senza uno stato? Come superare l’attuale situazione di protettorato internazionale che continua sostanzialmente a caratterizzare la Bosnia Erzegovina dopo gli accordi di Dayton? E come fare questo consapevoli, come cercavo di dire prima, dell’equilibrio e della prudenza necessaria per affrontare questo problema che tuttavia, nonostante la prudenza necessaria, è un problema che esiste e non può essere rimosso.

L’Europa può in questo svolgere un ruolo importante anche perché è solo in una prospettiva e in un contesto europeo che la definitiva stabilizzazione della regione può avvenire. Occorre portare per questo questi temi dentro il concreto sviluppo e la concreta gestone dello stesso processo di allargamento. Io penso che su questi temi, e questo propongo concludendo il mio rapporto, una collaborazione tra la nostra Assemblea, il Parlamento europeo e l’OSCE renderebbe l’iniziativa di tutti più efficace e che sia un aspetto sul quale è urgente lavorare insieme.Grazie.

Santini (Doc.12461 - Doc.12454 - Doc 12440)

Presidente, il dibattito comune che riunisce questi quattro importanti rapporti dimostra come per risolvere a fondo i problemi ancora in piedi, bisogna avere una visione globale della situazione ma anche delle prospettive. E’ davvero positivo che il Consiglio d’Europa indichi questa strada ai paesi dell’ex-Jugoslavia in cerca di una nuova coesione ma ancora profondamente divisi come abbiamo sentito dai relatori, ma soprattutto in cerca di una legittimazione internazionale.

Insieme si va lontano e si sanano vecchie ferite. Le azioni individuali e velleitarie non fanno altro che acuire invece vecchie divisioni e creare una sorta di competizione tra i paesi per raggiungere i traguardi della democrazia e della pace. Questo dibattito dice che invece molti problemi sono comuni e quindi vanno affrontati tutti insieme, come richiede del resto la comunità internazionale.

I paesi dell’ex-Jugolasvia devono innanzitutto imparare a dialogare fra loro, devono trovare le parole giuste per risolvere antiche diatribe come quelle fondate sulla diversità religiosa, linguistica e culturale. Devono affrontare con coraggio e disponibilità la questione dei confini e dei diritti delle minoranze delle comunità di profughi presenti un po’ in tutti i paesi di questa regione.

La comunità internazionale chiede con forza di avere risposte chiare e coraggiose alle richieste di consegnare alla giustizia gli ultimi criminali di guerra che devono essere deferiti al Tribunale dell’Aja, non per spirito di vendetta ma per debito giustizia verso le vittime.

Il collega Dorić, nel suo rapporto, evidenzia che questo impegno deve coinvolgere globalmente tutti i paesi del Consiglio d’Europa. Sulla stessa linea, il collega Gardetto propone, anzi indica una via giusta come quella dell’appropriazione dei testimoni che possono dare una mano. La comunità internazionale chiede a questi paesi di dare risposte collettive alle richieste delle persone scomparse dei periodi più bui della guerra e di fornire garanzie di rispetto e d’integrazione per i rifugiati nei vari paesi.

Ecco, io direi che questi paesi dovrebbero imparare la lezione da quelli che erano i paesi PECO dopo il crollo del muro di Berlino che tutti insieme, dodici, incominciarono il loro cammino verso l’integrazione nell’Unione europea.

Questa bella dimostrazione di gioco di squadra pesò molto nel voto favorevole poi dei paesi membri. Questo ruolo di coordinamento, si dice nelle relazioni, va svolto nei parlamenti di questi stati: alcuni hanno democrazie giovani che potrebbero trovare proprio in questa nuova dimensione un’esperienza importante in vista della loro integrazione nelle entità sovranazionali alle quali aspirano di andare a livello europeo e a livello euro-atlantico.

Ecco, chiuderei dicendo proprio che questa , se una gara dev’essere, non può essere una competizione vera e propria nella quale c’è qualcuno che arriva che arriva prima e qualcun altro che arriva indietro. Ecco, caso mai va interpretata come una gara a staffetta nella quale il più forte e il più debole concorrono al raggiungimento dello stesso traguardo e alla fine sono premiati tutti in egual misura. Così facendo, questi stati sperimenteranno sul campo i principi fondamentali che troveranno poi nelle istituzioni sovranazionali fondate sulla cooperazione tra stati e sulla solidarietà trasversale fra essi.

Congratulazioni ancora a tutti i relatori e tanti auguri, tanti di cuore, agli stati dell’ex-Jugoslavia.

Chiti (Doc.12461 - Doc.12454 - Doc 12440)

Signora Presidente, gli eccellenti rapporti che ci sono stati presentati e il progetto di risoluzione ci consegnano vari aspetti di grande rilievo. Il primo, gli stati dell’ex-Jugoslavia negli ultimi mesi stanno portando avanti scelte che vanno nella direzione di un processo di riconciliazione. E’ una tendenza che noi dobbiamo contribuire a consolidare e di questo processo dobbiamo sapere che fa parte la cooperazione piena dei governi con il Tribunale dell’Aja per i crimini nell'ex-Jugoslavia. Perché, senza fare i conti con il passato non si costruisce un futuro più degno.

Il secondo è una domanda che è stata posta dall’onorevole Marcenaro: senza l’esistenza di uno stato possono esistere diritto, libertà, democrazia? La mia risposta è no. Libertà e democrazia possono realmente vivere ed esprimersi in azioni che siano costruite solo su basi etniche? Anche qui la mia risposta è no. Può essere un mezzo com’è stato per far cessare un conflitto, ma alla lunga non può dare né stabilità né pace né democrazia. Perché democrazia, stabilità e pace potranno consolidarsi in quella regione solo se si realizzerà in modo graduale e progressivo l’ingresso di quegli stati nell’Unione europea. Questo è l’obiettivo politico fondamentale che noi dobbiamo sostenere. Le ideologie del Novecento non sono riuscite a coagulare in un quadro di coesione di pacifica collaborazione il mosaico di popoli, di religioni e di nazioni che sono presenti in quella parte del continente europeo.

La terza e ultima considerazione è che l’Unione europea, accanto a percorsi di adesione, deve essere presente e impegnata per contribuire a rimuovere gli ostacoli ancora presenti e, per la nostra parte, dobbiamo farlo anche noi come Consiglio d’Europa. Mi riferisco allo stallo costituzionale nella Bosnia Erzegovina, alla necessità di far piena luce su tutti i crimini di guerra: dieci, quindicimila persone sono scomparse. Alla costruzione della commissione regionale per la riconciliazione che deve però vedere la presenza, com’è stato rilevato, di tutti gli stati. Alla creazione delle condizioni per un possibile ritorno di quanti sono stati costretti ad abbandonare il paese di origine e in ogni caso alla tutela dove vivono dei loro diritti fondamentali. Al rispetto, all’interno di ogni nazione, a questo devono tendere le riforme dei diritti delle minoranze. Infine, e secondo me è l’impegno più importante guardando al futuro, un discorso pubblico come dice la nostra risoluzione sulle cause del conflitto, che coinvolga la missione del sistema educativo e dunque sappia rivolgersi ai giovani.

La risoluzione sottolinea in modo efficace come guerra civile e conflitti etnici non siano una catastrofe naturale, non dipendano dal tempo. Nascono dalla responsabilità degli uomini e delle ideologie che li guidano. Per questo è fondamentale un’azione di formazione che li prevenga e ora che sappia bonificare i bacini d’odio che si sono creati.Grazie.