IT11CR16       AS (2011) CR 16

Versione provvisoria

SESSIONE ORDINARIA 2011

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(Seconda parte)

ATTI

della sedicesima seduta

Giovedì 14 aprile 2011, ore 10.00

DISCORSI PRONUNCIATI IN ITALIANO

SANTINI ( Doc. 12581)

Ringrazio Lei, Signor Presidente, ringrazio la redattrice Strik e il presidente Chope per la tempestività con la quale è stata raccolta la proposta di aprire un dibattito d’urgenza su questo tema. Il titolo del rapporto è inevitabilmente un po’ generico: si parla di coste del Sud Europa ma noi sappiamo che almeno in questi ultimi mesi gli sbarchi sono avvenuti per il novantacinque per cento dei casi sulle coste italiane e in particolare Lampedusa.

La cronaca purtroppo ci aggiorna di ora in ora, di minuto in minuto: anche la scorsa notte un barcone è naufragato contro gli scogli a Pantelleria. Gli abitanti dell’isola si sono lanciati in mare nel buio, e hanno tratto in salvo cento novantotto persone. Due donne purtroppo sono morte.

E’ una cronaca ripeto, che si aggiorna e da gennaio ad oggi sono poco meno di trentamila le persone che sono sbarcate in Italia. Ma anche in questo momento, sicuramente, mentre noi discutiamo, in qualche anfratto delle coste nordafricane c’è un barcone che sta per partire. E’ un’autentica tratta degli esseri umani che nessuno riesce a fermare, nemmeno gli accordi bilaterali fra l’Italia e la Tunisia di pochi giorni fa. C’è stata una tregua ma nessuno s’illude che l’esodo sia davvero finito.

Di questo flusso di immigrati irregolari circa il settantacinque per cento sono Tunisini: sono in cerca di lavoro, quindi sono immigrati economici, non profughi. Altri vengono dall’Egitto, dalla Somalia, Eritrea, Marocco, Libia, Niger e Costa d’Avorio, paese quest’ultimo dal quale aspettiamoci un esodo in futuro molto molto massiccio. Solo questi ultimi sono da considerare, quindi quelli che scappano dalla guerra, profughi, quindi titolari di diritto di protezione internazionale. Per gli immigrati economici della Tunisia sono incominciati i rimpatri come d’accordo nel trattato tra Italia e Tunisia, nella misura di sessanta persone al giorno con ponti aerei pagati dall’Italia.

Questo accordo è in sintonia con le direttive europee ed esclude chi ha diritto di protezione internazionale. Ed infatti, circa diecimila persone sono ancora in Italia e sono state distribuite in vari centri di accoglienza sorti in differenti regioni. L’Italia ha applicato la direttiva 55 del 2001 che si ispira all’emergenza umanitaria e alla solidarietà degli stati membri concedendo permessi provvisori di sei mesi. Come sappiamo, purtroppo, la Francia in modo particolare, ma anche l’Austria e la Germania, stanno rifiutando questi permessi come accesso alla zona Shengen. Solo Malta è solidare con l’Italia ma anche Malta è nell’occhio del ciclone.

Ora, la Commissione europea ha stanziato dieci milioni di euro per l’Africa del Nord e centottanta milioni per la Costa d’Avorio. Il Presidente Barroso l’altro giorno a Tunisi ha promesso altri aiuti, ma c’è qualcun altro da aiutare: c’è chi è profugo in casa propria. Sono i cinquemila abitanti dell’isola di Lampedusa che da mesi, da anni ormai sono prigionieri, non riescono ad avere le libertà minimali private e soprattutto vedono compromesso ogni sviluppo economico, in particolare quello turistico. Ma allora, se è vero che Lampedusa è un’isola dell’Europa, è anche giusto attendersi immediatamente la solidarietà degli altri paesi perché se il problema è davvero di tutti, non si vede perché debbano essere pochi a pagarlo.

MARCENARO ( Doc. 12581)

Grazie Presidente e grazie all’onorevole Strik per il suo ottimo rapporto. Quante migliaia di esseri umani, di uomini, di donne e di bambini dovranno ancora annegare nel Mediterraneo prima che l’Europa si ricordi delle sue responsabilità? Fino a quando non muoveremo un dito per impedire che la rete dei mercanti di esseri umani continui indisturbata a fare i propri affari sulla pelle dei poveretti ai quali nessuno offre un’alternativa? Perché non si dice infine che l’unica alternativa all’immigrazione irregolare è l’immigrazione regolare, e che i viaggi clandestini sui barconi dei mercanti di morte possono essere sostituiti da viaggi regolari, da viaggi sicuri? Perché giustamente si trova la forza e il danaro per impedire che migliaia di persone siano uccise a Bengasi e a Misurata e non si trovano altrettante risorse per impedire che migliaia di persone anneghino nel Mediterraneo?

Certo, la grande maggioranza degli immigranti, dei ventimila tunisini arrivati in Italia sono immigranti economici. Ma immigranti economici particolari. Se la Tunisia diventerà democratica, non aumenterà l’emigrazione ma oggi molti Tunisini che ho incontrato nelle scorse settimane, che hanno partecipato alla rivoluzione, ci hanno detto che sono rimasti senza lavoro. Ad esempio, nel turismo tutto è fermo e per due anni non si può prevedere che ci sarà lavoro. Quindi è un’immigrazione economica ma che ha alle basi dietro di sé delle ragioni e un’emergenza politica, anche se questo ci può far pensare che sia un’emergenza provvisoria.

E vi sono poi, e sono destinati ad aumentare, coloro che sono in cerca di protezione umanitaria. Questi cresceranno nel prossimo futuro. Dalla Libia in particolare è prevedibile un flusso crescente. E’ un flusso che nasce in primo luogo dal serbatoio di oltre un milione e mezzo di persone, di immigranti irregolari, principalmente africani che erano la forza di lavoro povera e senza diritti della Libia di Gheddafi e che oggi fuggono di nuovo dopo essere già scappati per molto tempo.

Non accogliere queste persone sarebbe semplicemente un crimine, un crimine che né l’Italia né l’Europa possono commettere. Ricordiamoci che mentre noi, l’Italia e l’Europa, strepitiamo per ventimila persone, la Tunisia ne ha accolte duecentoventicinquemila e dalla Libia altrettante sono andate in Egitto.

Sia che parliamo di immigrazione economica, sia che parliamo di protezione umanitaria e di richiesta di asilo, noi siamo di fronte a una situazione alla quale l’Europa deve dare prova di generosità e di saggezza e questo deve valere per i singoli paesi a partire dal mio, e deve valere per l’Europa nel suo insieme. Lo spettacolo che stiamo dando in questi giorni non è degno della nostra storia e dei nostri valori. La destra che governa oggi l’Italia e l’Europa ne dovrà rispondere.

CARLINO ( Doc. 12581)

Grazie, Presidente, non è certo una novità che i popoli si muovono da dove stanno peggio a dove semplicemente ritengono di poter stare meglio. E’ una tendenza antica quanto l’uomo e nessun continente, quasi nessun paese, non certo l’Europa, si possono ritenere immuni da imponenti fenomeni migratori in entrata e in uscita per ragioni materiali e politiche. Al contrario, ritenere che le popolazioni non si debbano muovere e fare leggi in questo senso rivela l’utopia insostenibile, cieca e irresponsabile di questa scelta, portatrice infine di nuove tragedie umane come sempre è successo nella storia.

Davanti al maturare di questi eventi assistiamo in più parti d’Europa a un’atmosfera determinata da pulsioni populiste che propagandano il contrasto e la segregazione degli immigranti dove il rispetto del diritto umanitario e internazionale è avvertito troppo spesso solo come un fastidio. Io credo che dal Consiglio d’Europa occorra invece rilanciare sempre più quei principi di cooperazione, accoglienza e solidarietà tra i popoli, che costituiscono il terreno indispensabile perché si possa coltivare la pace e la stabilità e il benessere che tutti vogliamo per il nostro continente.

Credo che occorra cogliere anche e soprattutto momenti come quello attuale in cui le crisi ci bussano alle porte per promuovere questi principi ancora con più forza perché da tali situazioni non ne siano invece indeboliti. Occorre a maggior ragione ora rilanciare il progetto di unità politica non solo economica per il progresso dell’umanità e affrontare quanto prima l’opportunità di gettare le basi per nuove strutture e convenzioni sovranazionali che si occupino di governare gli spostamenti migratori tra i paesi capaci di superare ogni egoismo nazionale.

Vediamo come i fatti di questi mesi ci impongono sempre di più la necessità di realizzare un’Europa che sia unita anche nell’accoglienza. Tutto ciò deve essere accompagnato da necessari aiuti diretti verso quei posti da cui oggi la gente fugge perché possano determinarsi nel più breve tempo anche là condizioni politiche e di vita sempre più sostenibili.

Accanto a questo ritengo anche che non si possa più rimandare di stabilire che la cittadinanza si acquisti quando si viene al mondo e si cresce su un determinato territorio e si viene così a far parte di quella società. Credo sia una condizione irrinunciabile se davvero vogliamo costruire una società sempre più inclusiva. Occorre tener presente che sempre e dovunque gli scambi umani e le immigrazioni hanno arricchito i popoli. Le chiusure ne hanno sempre determinato invece la loro progressiva sterilità culturale e infine il loro impoverimento.

BOLDI ( Doc.12581)

Presidente, Colleghi, purtroppo dal momento in cui è stato stillato il rapporto in esame, i numeri sono cambiati. Sono più di ventottomila i boat people essenzialmente provenienti dalla Tunisia e arrivati a Lampedusa, una piccola e bellissima isola italiana che vive di turismo, che conta cinquemila abitanti ed ha la sfortuna di rappresentare l’approdo più vicino alle coste del Nord Africa.

A questi che sono soprattutto immigranti economici, cominciano ad aggiungersi anche persone che fuggono dalla Libia o attraverso la Libia dove è in corso una guerra che al momento non vede ancora nessuno sbocco possibile, cominciata in nome dei diritti umani per proteggere la popolazione civile dalle minacce di un dittatore, ma che vede innegabilmente sullo sfondo motivi economici data la grande quantità di petrolio e gas naturale di cui è ricco il paese.

La crisi economica globale di questi anni ha colpito duramente i paesi nordafricani e ha fatto esplodere tutte le contraddizioni interne. I giovani che costituiscono la maggioranza della popolazione, hanno deciso che potevano provare a cambiare il loro destino.

E l’Europa? Dal 2008, momento della creazione della cooperazione euro-mediterranea, ha preferito guardare da un’altra parte, soprattutto a destra. Solo poche settimane fa ha imbastito una strategia per lo sviluppo di questi paesi, utile ma tardiva, per evitare le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti. Tra queste anche le centinaia di persone morte in mare nel tentativo di raggiungere l’Italia o Malta. Certo, si sono viste ondate migratorie più massicce ad esempio durante la guerra nei Balcani. Ma io credo che l’opinione pubblica sia giustamente allarmata proprio perché non vede alcuna valutazione e preparazione adeguata da parte dell’Europa, perché il problema è europeo, per fronteggiare quello che potrebbe succedere.

L’atteggiamento dell’Europa si potrebbe definire un “Armiamoci e partite!” Intendo che quando si forzano delle situazioni com’è avvenuto nel caso di questo intervento militare, sarebbe poi logico aspettarsi una condivisione delle conseguenze, non una pacca sulle spalle o peggio, una bacchettata. In ogni modo l’Italia fa e continuerà a fare la sua parte, accogliendo i profughi, rimpatriando i clandestini e a questo proposito ho molto apprezzato le dichiarazioni del Presidente Barroso che ha in pratica condizionato gli aiuti alla disponibilità della Tunisia a riammettere chi è immigrato irregolarmente, e implementando gli accordi bilaterali, compresi quelli che prevedono il pattugliamento congiunto delle coste nordafricane per impedire le partenze. Se si pensa, come ho sentito da molti, che questo possa penalizzare i profughi, allora si pensi a un corridoio umanitario, al fondo del quale però ci dev’essere l’Europa, non l’Italia.

GIARETTA ( Doc. 12581)

Signor Presidente, le dimensioni della corrente migratoria che ha interessato in particolare l’isola di Lampedusa in Italia, hanno certamente le caratteristiche di un’emergenza per le loro dimensioni concentrate nel tempo. La generale destabilizzazione della sponda sud del Mediterraneo e l’intervento militare in Libia hanno, nell’immediato, reso forse più difficile l’emigrazione dei rifugiati verso l’Europa ma hanno dato una nuova spinta all’emigrazione di matrice economica. Basti pensare che decine di migliaia di lavoratori stranieri impiegati in Libia sono rimasti senza lavoro e l’economia turistica di tutta l’area è fortemente compromessa.

L’intervento militare in Libia è stato attuato per motivi umanitari secondo le risoluzioni dell’ONU. Possiamo intervenire militarmente e poi ignorare le conseguenze sul piano sociale, economico e quindi umanitario di questo intervento? Possiamo sostenere i movimenti per la democrazia nell’area mediorientale e negare nei fatti ogni concreta solidarietà economica?

Guardate: l’Unione Europea sta sostenendo in modo cooperativo gli oneri derivanti dalla crisi finanziaria greca e portoghese. Sono oneri molto consistenti rispetto ai quali l’architettura europea ha dimostrato di saper reagire. Possiamo immaginare che l’edificio europeo venga messo in discussione per l’incapacità di gestire ventitremila profughi o immigranti clandestini? Non è il momento di meno Europa e di meno cooperazione internazionale come imprudentemente sostengono deboli gruppi dirigenti nel mio paese e in altri grandi paesi europei di tradizione europeista.

Al contrario, serve che l’Europa rafforzi la sua capacità di azione comune per affrontare questo fenomeno. Per i paesi facenti parte dell’Unione Europea si utilizzi la piena competenza comunitaria nel nuovo quadro giuridico del Trattato di Lisbona. Occorrerebbe che il Commissario all’immigrazione e il rappresentante della politica estera trattassero a nome dell’Unione Europea con la Tunisia, l’Egitto, con la Lega Araba e l’Unione Africana.

Questo è il lascito culturale che ci viene dai padri e dai fondatori della nostra istituzione e poi nell’edificazione della grande casa europea. Occorre essere capaci di progettare un futuro ancora fondato sull’inclusione sociale. Questo è l’insegnamento che ci viene dalla grande crisi finanziaria e dalla crisi dell’area mediorientale ed è un impegno che riguarda tanto il nord quanto il sud del Mediterraneo. Gli egoismi nazionalistici non danno la chiave di soluzione del problema. Per questo condivido le indicazioni del rapporto della signora Strik e mi auguro che abbiano un adeguato seguito da parte di tutti i governi.

BUGNANO ( Doc. 12581)

Presidente, Colleghi, voglio ricordare che il Comitato per la prevenzione della tortura e delle pene aveva pubblicato nell’aprile 2010 un rapporto relativo alla visita che era stata condotta in Italia nel luglio 2009. In quella visita che il Comitato aveva fatto, si era posto l’obiettivo di analizzare la politica delle autorità italiane che allora consisteva nell’intercettazione in mare e rinvio in Libia o in altri stati non europei d’imbarcazioni d’immigranti che giungevano sulle coste meridionali italiane.

Nel suo rapporto, il CPT di allora sostenne che questo tipo di politica rappresentava la violazione del principio di non respingimento e che inoltre, tutte le persone che rientravano sotto la giurisdizione dell’Italia avrebbero dovuto poter avere la possibilità di richiedere la protezione internazionale e di fruire delle strutture necessarie. Allora, e mi piace ricordare questo rapporto nel dettaglio perché vedrete poi nell’attualità che cosa intendo dire, allora dicevo, durante il periodo preso in esame, il CPT rilevava che le autorità italiane non avevano offerto a immigranti intercettati in mare tali possibilità e strutture e, al contrario, alle persone rinviate in Libia era stato negato il diritto di ottenere una valutazione individuale del proprio caso nonché un accesso effettivo al sistema di protezione dei rifugiati.

Il rapporto del CPT concludeva allora che la Libia non poteva essere considerata un paese sicuro in termini di diritti umani e di diritti dei rifugiati. Ora, questo era il CPT, ovvero l’Europa nel 2010. Oggi ci sembra che tutto questo sia stato dimenticato. Di fronte alla situazione emergenziale che sta vivendo l’Italia, ci sembra che la politica europea in materia di asilo e d’immigrazione sia subendo un forte impasse, incapace di far fronte ad eventi straordinari ma poi così non imprevedibili.

Pur in presenza dell’articolo 80 del Trattato di funzionamento dell’UE e del principio dell’equa ripartizione della solidarietà, ogni stato in questo momento sembra far storia a sé. Noi crediamo che questo non sia accettabile e che l’Europa debba attivare nel più breve tempo possibile il meccanismo di solidarietà previsto dalla direttiva sulla protezione temporanea, ovviamente, e porre in essere tutte quelle misure anche economiche che servano a supportare l’Italia.

Lampedusa e l’Italia stanno pagando un prezzo troppo alto ma soprattutto questo prezzo lo stanno pagando i profughi accolti talvolta in modo disumano.

MARCENARO ( Doc. Dibattito d’attualità: La situazione in Nord Africa)

Senza dubbio la lotta per la democrazia nel Nord Africa e nei paesi arabi sarà una lotta lunga che dovrà affrontare, come vediamo in Libia, fasi difficili e contradditorie. Però si tratta di una tendenza profonda che ha, come spiegava l’on. Gross, delle radici profonde nelle trasformazioni che sono avvenute in quelle società e che non saranno fermate.

Che l’Europa appoggi questa direzione, può essere una scelta determinante, una scelte decisiva. Una Europa che si è dimostrata fino ad oggi impreparata. Forse tutti in questi anni abbiamo guardato a questi paesi e a queste società attraverso la sola lente della lotta al terrorismo e al fondamentalismo e non siamo riusciti a vedere quello che maturava in queste società: i cambiamenti che riguardavano le nuove generazioni, le nuove domande, le nuove maturità che si affermavano.

Eppure se guardiamo a quello che è capitato, vediamo che non sono solo le autocrazie ad essere sconfitte, è il terrorismo e il fondamenatalismo che possono essere battuti da quello che sta capitando. Guardate, non avevo mai visto nella mia vita delle manifestazioni di massa in questi paesi in cui non ci fosse una bandiera americana bruciata, in cui non ci fosse una bandiera israeliana bruciata. Questo ci dice qualcosa di un segno diverso, di una tendenza e di un’esperienza che è oltre quello a cui siamo stati abituati a vedere in questi anni.

L’Europa naturalemente deve anche rivedere, lo ha già ricordato qualcuno, il suo cosidetto realismo politico. Questo realismo politico si è dimostrato poco realistico. L’idea di affidare la difesa della stabilità alle autocrazie che governavano quei paesi si è dimostrata una scelta non solo sbagliata in linea di principio ma una scelta incapace di prevedere l’evoluzione della situazione e di farvi fronte come era necessario. Io non posso non ricordare che noi avevamo avuto una grande anticipazione di quello che è capitato in questo mondo grazie a quello che era avvenuto nel giugno del 2009 nell’onda verde iraniana. Sono gli stessi giovani, le stesse persone che l’Europa e il mondo hanno lasciato soli affrontando con l’Iran esculsivamente la questione nucleare e rimuovendo dall’agenda internazionale i problemi della libertà e della democrazia. Non dobbiamo rifare lo stesso errore.

Oggi ci sono le possibilità di cambiare qualcosa, dobbiamo saperlo, non solo nella vita di quei paesi e di quei popoli, cosa pure tanto importante, ma nella nostra vita, nel nostro futuro. E’ questo che è anche in gioco nel confronto storico che si è aperto in quello scenario così importante. Grazie.