IT11CR35
AS (2011) CR 35
Versione provvisoria
SESSIONE ORDINARIA 2011
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(Quarta parte)
ATTI
della trentacinquesima seduta
Giovedì 6 ottobre 2011, ore 15.00
DISCORSI PRONUNCIATI IN ITALIANO
Giacomo SANTINI
Sul dibattito di attualità: In che modo possono gli Stati membri del Consiglio d’Europa soccorrere i paesi colpiti dalle catastrofi umanitarie come quelli dell’Africa Orientale?
Davvero ringraziamo il Presidente del Consiglio d’Europa per questo quadro che ci ha fatto del tema che stiamo per trattare ed è dentro questo quadro che ciascuno di noi tenterà di inserire i propri commenti e, dove possibile, le proprie proposte.
Per quanto riguarda il mio paese, l’Italia, io direi che da molti mesi ormai il Parlamento italiano, ma io penso anche molti parlamenti europei, vede intrecciarsi e moltiplicarsi le sollecitazioni ad intervenire per tentare di arginare questa emergenza nel Corno d’Africa. Però, più passano i giorni, più ci si rende conto che per quanti sforzi si facciano negli interventi, non si riesce a tenere il ritmo dell’emergenza che continua a salire. Anche le cifre che tentano di dare una dimensione alla catastrofe subiscono aggiornamenti drammatici di giorno in giorno, di ora in ora.
L’Unicef parla di oltre dodici milioni di persone coinvolte, tra le quali ci sono due milioni e mezzo di bambini, come sempre i più esposti alla morte, al rischio di morte quando la situazione precipita. Ed è quello che sta accadendo proprio in questo momento sotto i nostri occhi perché agli effetti della fame e della carestia, come ha ricordato il Presidente, si stanno aggiungendo malattie come il morbillo e il colera che da noi ormai sono soggette a cure efficaci mentre in simili condizioni diventano micidiali.
La causa principale, dunque, di questa catastrofe viene indicata nella più grave siccità degli ultimi sessant’anni che ha provocato l’inevitabile carestia alimentare. Più grave significa che si è sommata questa grave siccità a tutte le altre normali di ogni anno. Ma vi sono anche cause provocate dai comportamenti umani, alcuni li ha ricordati il Presidente ÇAVUŞOĞLU, come per esempio il rincaro straordinario dei prezzi dei prodotti alimentari, molti casi di illegalità e di speculazione nella fornitura degli aiuti umanitari provenienti dall’Europa, arbitri, ritardi nel sistema di distribuzione verso i territori soprattutto più lontani.
Non solo, ma a complicare questo quadro già di per sé drammatico, si aggiunge l’instabilità politica, in particolare in Somalia, priva di una vera e propria organizzazione statale e in preda a combattimenti in diverse regioni. Anche per questo, molti profughi continuano a fuggire verso il Kenya: fuggono dalla fame ma fuggono anche dalla guerriglia. Il Kenya però ormai non riesce più a garantire un’adeguata accoglienza nei molti campi della disperazione.
Ecco perché il governo italiano ha avanzato in sede europea e ONU una proposta che è stata sostenuta anche da altri paesi dell’Unione europea ed è quella di fermare i profughi in Somalia e cercare di creare campi di raccolta all’interno del territorio somalo. Le Nazioni Unite hanno segnalato l’estensione preoccupante della siccità proprio verso le regioni meridionali e per questo occorre attrezzarsi subito se si vuole scongiurare la terribile previsione che pone 750 mila persone a rischio di morte entro quest’anno.
La solidarietà internazionale si è già mossa e si è messa in moto raccogliendo molti fondi: 352 milioni di dollari dai paesi africani, altrettanti dalla Turchia e dalla Conferenza islamica, 170 milioni sono frutto di un primo stanziamento dell’Unione europea. Secondo la FAO, però, per fronteggiare questa situazione occorrerebbero 1,6 milioni di dollari, quindi il doppio di quello che finora è stato raccolto. Mancherebbero quindi più di 800 milioni al bilancio di questa campagna.
Il problema successivo alla raccolta è quello di tradurre le risorse finanziarie in aiuti umanitari sul territorio e per questo, sempre il governo italiano – io parlo del mio governo in quanto non conosco bene tutto quello che hanno fatto altri governi sicuramente altrettanto impegnati – dicevo, il governo italiano che conosce molto bene queste regioni per ragioni storiche legate a moltissimi anni fa di esperienza, ha proposto di valorizzare la dimensione regionale, la dimensione tribale coinvolgendo i clan, le tribù, tutti gli attori ??? accanto alle ONG per favorire e accelerare i tempi dei soccorsi e renderli soprattutto più capillari in modo che possano raggiungere tutti, anche quei nuclei di persone disperse nelle zone più impervie ed aride e che sono a rischio di vita più di altre, anche perché spesso, per esse, non c’è nemmeno la possibilità di fuggire.
E allora credo che anche questo nostro dibattito oggi dovrebbe servire a far capire a tutti quanto sia importante agire, agire subito, fare in fretta perché una simile catastrofe naturalmente non può aspettare la storia.
Luca VOLONTÈ
(Doc. 12747)
Grazie Presidente. Anch’io voglio ringraziare il Presidente von SYDOW e la Segreteria della Commissione Politica e vorrei aggiungere solo poche cose: non solo per lasciare tempo al dibattito, che è molto limitato anche per i colleghi che vogliono parlare a titolo personale, ma anche perché molti degli elementi portati dagli altri leader dei gruppi politici e dalle altre personalità che hanno parlato a nome dei propri gruppi politici, mi trovano assolutamente d’accordo.
Tre cose molto brevemente. La prima: vorrei che noi cercassimo di abbracciare il contesto della situazione. Il contesto della situazione in Bosnia-Erzegovina e in Kossovo è il contesto di una situazione, di un’area geografica che non ha ancora metabolizzato sufficientemente il passaggio dalla oppressione di un regime comunista totalitario come quello di Tito a quella invece, di una libertà da autocostruirsi, in cui la responsabilità, la democrazia, i diritti umani e lo Stato di diritto sono dei passaggi fondamentali per l’autogoverno.
Il secondo: partendo dalla Bosnia-Erzegovina in questo contesto complesso, perché questa regione è stata complessa nei secoli, non perché era complessa l’identità culturale. Ma perché la convivenza è sempre stata nei secoli, fin dal Medioevo, complessa in questa regione. Il secondo elemento che voglio portare, a partire dalla Bosnia-Erzegovina e con grande chiarezza lo voglio dire: certo, io condivido tutto quello che è stato sottoscritto dal Presidente von SYDOW. Tuttavia, parliamoci con grande chiarezza: tutti dobbiamo prendere atto che gli accordi di Dayton sono accordi appunto datati. Datati. Nei fatti sono accordi che esistono e meglio quelli che non avere nulla, ma che l’azione politica internazionale deve continuare – e lo dice bene il Presidente von SYDOW - dobbiamo accompagnare affinché quest’azione diplomatica e politica possa portare a un’evoluzione positiva.
Meglio quello che si è accordato per il passato che nulla. Ma lavoriamo per fare dei passi avanti con maggiore autorità. Ovviamente è stato discusso oggi nella Commissione di Monitoraggio, ovviamente siamo preoccupati dal fatto che dopo le elezioni non si sia riusciti a trovare un governo, un accordo per un governo, che è la precondizione per poter portare in Bosnia-Erzegovina una riforma costituzionale. Ha fatto bene il collega relatore sulla Bosnia-Erzegovina, il Collega MIGNON oggi ad annunciare alla Commissione di Monitoraggio che già nei mesi di dicembre, su questo tema come sul tema complessivo del monitoraggio della Bosnia-Erzegovina avremo una discussione nella Commissione di Monitoraggio.
Certo: l’urgenza nel Kossovo è aumentata. Perché gli incidenti che sono avvenuti non possono costringere a tenere gli occhi chiusi, ma anzi, sono incidenti che devono spingere il Comitato dei Presidenti, come suggerisce il Presidente von SYDOW, a portare anche formalmente, ufficialmente, il proprio contributo per tentare di accompagnare anche qui una soluzione che sia il più possibile accompagnata dall’azione di tutti i paesi dell’Unione Europea per trovare delle soluzioni pacifiche.
Il terzo elemento che voglio porre, ovviamente, è una valutazione che mi permetto di dire, più in sintonia di quello che scrive il relatore Von SYDOW che nutre alcune preoccupazioni come ho sentito dire, sul tema dell’Albania. Dobbiamo valorizzare il fatto che finalmente, dopo un anno e più, il Partito Socialista albanese ha deciso di tornare in Parlamento e lavorare sui provvedimenti legislativi in Parlamento. Dobbiamo come i due relatori della Commissione di Monitoraggio, congratularci del fatto che siano stai accettati da tutti i risultati elettorali nel mese di maggio e certo, dobbiamo continuare attraverso anche i nostri due relatori del Monitoraggio, a far sì che questo passaggio positivo, importante e imprevedibile nell’ultimo anno, possa essere ancora più spinto verso una soluzione migliore.
Tutti noi facendo il nostro dovere che è quello di lavorare nelle Commissioni consentendo a ciascuno di noi di lavorarci attraverso le competenze della Commissione di Monitoraggio, della Commissione degli Affari Politici e dei dibattiti che possiamo tenere in questa sede, ma nello stesso tempo voglio cogliere questo aspetto che mi accomuna a tutti gli altri, valorizzando anche i rapporti politici con quelle forze politiche che, anche in Albania, possono trarre beneficio da un aiuto bilaterale in questa direzione.
Grazie.
Giacomo SANTINI
(Doc. 12712)
Il nostro relatore, Signor Presidente, dice nelle prime righe del suo rapporto che le azioni terroristiche hanno ripercussioni dirette sui diritti dell’uomo.
In effetti, un atto terroristico abbatte in un sol colpo tutta una serie di diritti fondamentali, anche quando risparmia il diritto più importante che rimane quello alla vita. Il primo diritto demolito è invece quello di vivere in pace e in sicurezza nella propria famiglia e nella propria comunità. Gli esempi sarebbero troppi da fare in questo momento. Dalle torri gemelle di New York alle decine di attentati come quelli al treno di Madrid, alle Metropolitane di Londra e Tokyo, ai quattro attentati in soli due anni ai turisti sul Mar Rosso, a Bangkok e molti altri appunto che non è il caso qui di elencare. Per non citare molti altri casi degli anni di piombo, per esempio in Italia, con una macabra competizione fra le Brigate Rosse e le organizzazioni neofasciste.
Gli attentati terroristici demoliscono anche le speranze di costruire democrazie condivise, minando le basi dello Stato di diritto proprio come si mina un ponte per fare precipitare nell’abisso coloro che intendono transitarvi per unire due sponde, aprire un dialogo, costruire una società più eterogenea. I terroristi sono dei criminali, si dice ancora nella proposta di risoluzione, quindi debbono essere condannati dalla giustizia penale. Ma si dice anche che gli Stati debbano attrezzarsi per prendere tutte le misure necessarie per combattere il terrorismo.
Il primo problema che si incontra è dove è il terrorismo a combattere lo Stato, spesso non consentendogli nemmeno di nascere. Ecco, mi viene in mente un esempio che mi ha anticipato il collega MIGNON: il caso della Palestina di cui abbiamo discusso oggi con il Presidente ABBAS. La Palestina non potrà mai essere uno Stato completamente riconosciuto al di là della qualifica di “Partner della Democrazia”, finché al suo interno ci sarà Hamas.
Hamas è un’organizzazione terroristica che a volte si traveste da partito politico per tentare di vestire di legalità i suoi crimini contro l’umanità. Non per caso nel 1996, in occasione delle prime elezioni democratiche in Palestina, ARAFAT non consentì a Hamas di presentare una propria lista di candidati e tantomeno un candidato presidente.
Io ricordo bene quei giorni perché ero là come osservatore per conto del Parlamento Europeo e ricordo soprattutto il terrore della gente di fronte alle minacce che Hamas immediatamente fece per questa esclusione e, purtroppo, soli pochi giorni dopo, poco tempo dopo, la nuova democrazia fu soffocata in un mare di sangue dagli attentati di Hamas. Hamas è un’organizzazione terroristica esattamente come Al-Qaida, Hezbollah, l’IRA irlandese, l’ETA dei Paesi Baschi, le Brigate Rosse italiane e molte altre sigle delle organizzazioni che l’Unione Europea ha inserito in una lista ufficiale del terrorismo.
Il fenomeno è molto preoccupante: questa lista nel 2001 comprendeva solo tredici nomi, nel 2005, all’ultima verifica, ne comprendeva ben quarantatré. Caso mai sono preoccupato e deluso e stupito che in questo elenco non sia siano la Mafia, la Camorra, l’Ndrangheta, la Corona Unita: anche esse praticano il terrorismo e della peggior specie. Quindi la conferma è che è una lista destinata a prolungarsi ancora e il mondo dovrà ancora pagare purtroppo grandi tributi di sangue alla nostra incapacità di arginare questo fenomeno preoccupante.
E’ chiaro che la Convenzione dei diritti dell’uomo, per quanto condivisa, non può bastare da sola: occorre una risposta corale di tutti gli Stati e nella relazione vi sono alcuni esempi di interventi. Ma una risposta corale che sia fondata sul diritto, che sia anche sostenuta da strumenti di contrasto duri e concreti. Le parole forse a questo punto non bastano più. Occorre avere un’intesa internazionale per creare una struttura capace di dare una risposta a tono rispetto a quanto e a come le organizzazioni terroristiche stanno facendo con la società civile, affinché non ci tolgano nemmeno l’ultimo dei nostri diritti fondamentali che è la speranza di continuare a vivere in una società pacifica.