IT13CR16

AS (2013) CR 16

 

Versione provvisoria

SESSIONE ORDINARIA 2013

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(Seconda parte)

ATTI

Della sedicesima seduta

Giovedì 25 aprile 2013, ore 10.00

DISCORSI PRONUNCIATI IN ITALIANO

Pietro MARCENARO (Italia, SOC)      
Dibattito di attualità

I rifugiati siriani in Giordania, Turchia, Libano e Iraq: come organizzare e sostenere l’aiuto internazionale?

Grazie, Signor Presidente.

Questa discussione è stata sollecitata dalla richiesta di due presidenti di due gruppi politici: Anne BRASSEUR e Tiny KOX. Nasce dalla visita anche, circa quindici giorni fa, della sottocommissione per il Medio Oriente effettuata durante la sua missione in Giordania nei territori palestinesi, al campo di Zaatari, vicino al confine con la Siria. È stata una visita che ha colpito e impressionato ciascuno di noi.

Vi do qui alcune cifre per capire cosa sta capitando. Il campo è stato inaugurato il 28 luglio del 2012. Quando è stato aperto il 28 luglio 2012, vi erano poche persone, qualche migliaio. Il 15 agosto le persone erano diventate trentamila. A novembre le persone erano 45 mila. A gennaio 65 mila, il 2 febbraio 2013 l’ONHCR, l’organizzazione per i rifugiati delle nazioni unite, contava 76 mila persone e ad aprile, il 16 aprile, quando noi siamo stati là, il numero era di circa 140 mila persone. Ogni giorno, ogni notte, vengono ad aggiungersi da 1500 a 2000 persone. È come una grande città fatta di persone prive di tutto, una grande città con tutti i problemi di gestione e di governo di una grande città, a pochi chilometri dalla guerra e a pochi chilometri dal confine siriano.

Non voglio riprendere in questa sede la discussione che abbiamo già fatto perché nell’aprile del 2012 l’Assemblea si è pronunciata sulla questione del conflitto in Siria e, poi, poi, nell’autunno, la relazione presentata da Giacomo SANTINI in nome della commissione dei rifugiati, ha già affrontato il tema dei rifugiati.

Ma diciamo che noi siamo in una situazione nella quale non abbiamo la possibilità di prevedere uno sviluppo positivo e una conclusione della situazione che metta fine a questo fenomeno. Perché tutto il quadro della situazione che abbiamo davanti ci parla di un aggravarsi del conflitto e di una situazione nella quale gli elementi che hanno indotto a scappare e a fuggire dalle proprie case le persone, continueranno e forse addirittura si aggraveranno. Quindi bisogna fare i conti con questo problema come un problema che richiede di essere preso in considerazione con assoluta serietà.

Ho parlato solo del campo di Zaatari ma se allarghiamo lo sguardo all’insieme della situazione dei rifugiati della Siria, vediamo che dai circa trentamila di cui parlavamo nell’aprile 2012, siamo oggi secondo tutte le stime intorno al milione e trecentomila persone. Si tratta di persone che, come sapete, sono distribuite su quattro paesi: parliamo di circa 450 mila persone in Giordania, di circa 430 mila persone in Libano, di 292 mila persone in Turchia, di 132 mila persone in Iraq, di cinquantamila persone in Egitto. E aggiungo che se volessimo fare una valutazione più precisa, a questi rifugiati dovremmo aggiungere i profughi interni, gli IDPs, che si sono spostati a centinaia di migliaia dentro la Siria. La questione è una questione che riguarda soprattutto i curdi che in centinaia di migliaia si sono spostati verso la regione curda dove è possibile garantire una qualche forma di maggiore protezione e stabilità e quindi che ha funzionato da polo di attrazione e per questi – mentre per gli altri dirò che una forma di aiuto internazionale esiste -, per le persone spostate all’interno del paese, non esiste alcuna forma di sostegno internazionale, con problemi molto seri.

In ciascuno di questi paesi si tratta di problemi enormi e naturalmente dal punto di vista della stabilità del paese e delle conseguenze sul paese che riceve questi profughi, i problemi sono tanto più grandi quanto il paese è più piccolo. Naturalmente noi dobbiamo guardare allo sforzo e al sacrificio immenso che per un paese come la Giordania o come il Libano comporta l’assistenza a questi profughi. Si tratta di fornire cibo, si tratta di fornire acqua, si tratta di fornire salute, si tratta di fornire formazione per una popolazione che è fatta in larga misura da bambini che sono una grande parte di questi rifugiati. Si tratta di fornire sicurezza, si tratta di fornire legalità, si tratta di fornire cioè beni essenziali materiali e organizzativi in una situazione nella quale tutto è in discussione, in una situazione nella quale nei campi come quello di Zaatari, la notte passano le persone a reclutare per la guerra, nella quale si possono reclutare bambini soldati, nella quale ci sono tutti i fenomeni dell’illegalità e in questo la struttura di questi paesi, soprattutto di quelli più piccoli, è messa radicalmente in discussione.

I profughi sono un po’ come un reagente chimico che fanno emergere contraddizioni di questa società e rischiano di destabilizzarle con delle conseguenze molto serie per tutta la regione. In Giordania dove c’è un bisogno di fornire acqua in continuazione, è un paese in cui l’acqua non c’è per nessuno, non c’è per gli abitanti, in cui c’è un problema di garantire i servizi essenziali come l’elettricità e tutto rischia di essere messo in discussione. È un paese che peraltro ha aperto con il fondo monetario internazionale una procedura di rientro dal punto di vista della sua situazione finanziaria che complica ulteriormente la situazione.

Ma se noi guardiamo il Libano dove le persone non stanno nei campi come in Siria, perché il Libano in un qualche modo “bruciato” dall’esperienza palestinese dei campi, non ha voluto questo tipo di organizzazione ma distribuisce i profughi sul territorio. Cosa può voler dire in un paese come il Libano che vive in un equilibrio politico fragilissimo, che da tempo è sull’orlo continuo di una guerra civile interna, il fatto che arrivino in questa situazione e in questa crisi forze che provocano uno squilibrio profondo in quel paese dove ci sono gli Hezbollah che sono legati alla Siria di Assad e all’Iran di Khamenei e dove ci sono altre forze che invece sostengono la parte opposta del conflitto. Cosa può determinare questo rebus?

Per questo credo che il problema che abbiamo di fronte – e concludo rapidamente – è certo da un lato quello di richiamare la comunità internazionale ai suoi doveri di solidarietà materiale in primo luogo riconoscendo lo sforzo che tutti questi paesi, la Giordania, il Libano e la Turchia svolgono per far fronte ai propri doveri umanitari, e in secondo luogo considerando anche gli aspetti politici di questa questione. C’è anche bisogno di un sostegno politico per impedire che questa vicenda diventi un ulteriore elemento di destabilizzazione in una regione dove davvero questa è l’ultima delle eventualità che si può augurare da parte di chi pensi alla pace e alla stabilità come a un bene che la comunità internazionale deve proteggere.

Questo era il contributo che mi sentivo di dare per l’apertura di questa discussione e perché venga dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa un appello alla comunità internazionale, e ringrazio i capigruppo che hanno preso questa iniziativa e che ci consentono con questa discussione di onorare i nostri impegni. Grazie.

Giacomo SANTINI (Italia, PPE/DC)

Intervento sul dibattito “I rifugiati siriani in Giordania, Turchia, Libano e Iraq: come organizzare e sostenere l’aiuto internazionale?”

La ringrazio, Presidente.

      
Colleghe e colleghi, a nome del gruppo parlamentare del Partito Popolare Europeo ringrazio anch’io i colleghi BRASSEUR e KOX per avere promosso questo dibattito, e il collega Pietro MARCENARO con la sua ben nota passione che ci ha disegnato i contorni di quella che è già una drammatica emergenza umanitaria, politica ed economica nello stesso tempo.

È vero, noi abbiamo già avuto un dibattito d’urgenza in questa aula, promosso dalla commissione di cui sono presidente, la commissione Immigrazione e rifugiati. Ma credo davvero che sia opportuno ogni tanto tornare su argomenti del genere, in primo luogo perché sono in continua evoluzione e in secondo luogo, perché i dati che abbiamo oggi sono già differenti da quelli di due mesi fa e sono sempre più stupefacenti in senso naturalmente negativo. Pensavamo di aver toccato un punto limite e invece ci accorgiamo che di giorno in giorno la situazione è sempre più grave.

Torno a ripetere che il problema ci riguarda doppiamente innanzitutto perché siamo i tutori dei diritti dell’uomo, ma in secondo luogo, se vogliamo essere anche un pochino cinici, perché questo dramma avviene a pochi chilometri dalle nostra case, avviene al di là del Mediterraneo, a due ore di volo dall’Europa e quindi è un problema che potrebbe davvero esplodere, divampare e coinvolgere in maniera imprevedibile l’Europa intera. In commissione immigrazione abbiamo avuto l’opportunità, lunedì scorso, di ascoltare un rapporto aggiornato del Signor Vincent COCHETEL, direttore dell’Ufficio per l’Europa dell’Alto commissariato per i rifugiati dell’ONU.

Ci ha fornito dati aggiornati rispetto a quelli che ho sentito in quest’aula e che vi passo. Sono impressionanti: in un anno, un milione e 300 mila profughi, anche di più, sono usciti. Le cifre per paese sono: 421 mila in Libano, 434 mila in Giordania, 293 mila in Turchia, 131 mila in Iraq e cinquantamila in Egitto. In altre parole ogni giorno ottomila persone fuggono dalla Siria e continuano a implementare queste cifre quindi mentre ne parliamo già sono superate dalla realtà. Va detto che di questi profughi il 70% è composto da donne e bambini che fuggono da situazioni di violenza e di tortura di ogni tipo e non è poi che nei campi profughi la situazione sia migliore perché purtroppo vi si aggirano, come lo ha ricordato il collega MARCENARO, anche molti motivi di preoccupazione.

Dobbiamo rendere omaggio a questi paesi che stanno impegnandosi drammaticamente anche a nome nostro. Non ci dobbiamo sentire spettatori ammirati, condiscendenti e moralmente impegnati. Dobbiamo essere loro partner in un impegno concreto, l’Europa deve svegliarsi, deve darsi una scossa elettrica per i motivi che ho detto e molti altri.

Anche perché questi paesi, dobbiamo chiedercelo: per quanto ancora potranno resistere a questa pressione incredibile? E soprattutto questa pressione, anche ancora non ha una dimensione prevedibile, non potrà provocare – e noi diciamo subito di sì – una crisi anche politica oltre che economico-sociale in questi paesi? E se esplode tutto l’assetto sociale e politico dei paesi che oggi ospitano questi profughi, cosa potrà accadere nella nostra Europa? E allora, per concludere, devo dire davvero che oltre a queste importanti prese di posizione noi dovremmo sforzarci per trovare un modo concreto come ho già detto nel precedente dibattito, per far sentire la nostra vicinanza a queste popolazioni, a coloro che fuggono ma anche a coloro che in questo momento li stanno accogliendo. Credo davvero che sia questo un modo pragmatico, un modo concreto per fare capire che in quest’aula non ci limitiamo a piangerci addosso sulle disgrazie nostre o altrui, ma siamo capaci di svegliare coloro che hanno in mano anche il potere economico che è l’arma oggi necessaria per fare fronte a questa crisi.

Grazie.

MARCENARO Pietro (Italie, SOC)
Conclusione del dibattito

Grazie, Signor Presidente.

Ringrazio tutti quelli che hanno preso la parola. Mi è sembrata una discussione nella quale l’assemblea ha dimostrato una volontà comune e una comune coscienza delle nostre responsabilità e dei nostri doveri di fronte a una situazione così difficile. Io non voglio riprendere la discussione politica che abbiamo tenuto in occasione del dibattito sulla situazione politica in Siria e quindi non risponderò all’Onorevole SCHLEGEL che ha riproposto una proposizione che neanche i più arretrati esponenti della diplomazia russa si sono permessi di sostenere nel corso di questi lunghi mesi di conflitto.

Voglio solo dire che naturalmente, mentre si lavora per ricostruire quelle condizioni politiche che paiono così lontane che possano permettere il ritorno dei rifugiati nel loro territorio, nelle loro città, nelle loro case, noi abbiamo il dovere di agire. Questo dovere parte da quella cosa molto seria che l’onorevole WALTER ha detto e cioè: la distanza tra gli impegni che la comunità internazionale ha preso di fronte alla Siria e quanto questi impegni siano stati effettivamente rispettati.

È naturalmente sempre un elemento sempre di preoccupazione constatare che di fronte a fatti di questa natura e di questa gravità, la comunità internazionale viene meno agli impegni e alla parola data. Tuttavia è mia profonda convinzione che la situazione sia non solo già oggi così seria ma destinata ad aggravarsi in futuro come è stato sottolineato da molti, a diventare un elemento di ulteriore instabilità in tutta la regione che, se non valessero le ragioni umanitarie, almeno dovrebbero valere le ragioni politiche di chi pensa che a nessuno convenga un aggravamento ulteriore della situazione.

Io credo che Lei, Signor Presidente dell’Assemblea parlamentare e il Segretario generale del Consiglio d’Europa possano farsi portatori di questa discussione nei confronti delle sedi internazionali in cui questo problema può essere sollevato. Com’è stato ricordato, noi, ciascuno di noi parlamentari, ha il dovere di farsi portatore di questi problemi nei propri parlamenti e nella propria situazione. Sono convinto che ritorneremo su questi problemi perché purtroppo è una questione della quale non ci possiamo illudere di liberarci rapidamente. E penso e spero che la prossima volta riusciremo a farlo sulla base di un bilancio meno negativo di quello che oggi è stato riscontrato, e con maggiore senso di responsabilità da parte della comunità internazionale.

Grazie.